Ogni qual volta su una band si abbatte il maglio pesante del sensazionalismo da primo album con conseguenti elogi sperticati da parte della critica nonché dagli hypsters in cerca della nuova gallina dalle uova d’oro si finisce poi inevitabilmente con una spropositata pressione, dal secondo disco in poi, su suddetta band e nondimeno alte sono le aspettative da parte di chi vorrebbe che quella gallina producesse sempre uova ricoperte di quel prezioso metallo.
Ecco, i The Antlers di Pete Silberman si trovano proprio in questa situazione, o almeno vi si trovavano fino a poco tempo fa visto che il nuovo album, Burst Apart, è nelle orecchie di critica e fan già da qualche settimana. E come suona il successore del tanto acclamato Hospice? Sicuramente diverso, senza per questo risultare estraneo all’idea musicale originaria, anche perché ricalcare in modalità copia/carbone l’album precedente, con questa nuova produzione, sarebbe stata un’avvisaglia poco promettente, invece la band newyorkese gioca bene le proprie carte e cala sul tavolo un disco eterogeneo composto anche da brani che ovviamente si ricollegano al loro recentissimo passato (un esempio è “Every night my teeth falling down” che potrebbe idealmente collocarsi tra “Bear” e “Two”). Tuttavia quello che si nota subito é, almeno sotto il profilo prettamente musicale, un senso di ritrovata speranza, di fiducia verso la vita. Sensazioni “a pelle” che nel primo capitolo un po’ mancavano perché in “Hospice” si parlava pur sempre di vita e di morte all’interno di strutture ospedaliere e ospizi. La disperazione che trasudavano i tre americani in passato si é diluita in momenti meno ansiotici (difatti l’inizio promette bene con “I don’t want love”, una sorta di fratellastro blues-digitale degli ultimi Black Keys, o con il dream pop delicato di “French exit”), di passaggi distensivi (il trittico posizionato a fine disco composto dal soul-pop di “Tiptoe” “Hounds” e “Corsicana”, le cui atmosfere fluttuano nelle morbide acque del sogno incontrando frammenti di immagini provenienti dalla fervida immaginazione di Michel Gondry), o baciando la grazia dei Beach House di Teen Dream (“No Windows”); “Rolled together” addirittura sembra arrivare dai primi anni 90 quando i Verve non erano ancora i Verve (periodo A Northern Soul) e si permettevano di sperimentare nelle interminabili acque di certa psichedelia pop. A dare un po’ più di consistenza al disco ci pensa poi “Parentheses” con un giro di chitarra che si fa largo nell’onnipresente, ma mai ingombrante, elettronica ed una batteria sporca che dona al brano una cadenza trip hop. Anche l’ultimo brano, “Putting the dog to sleep” viene sorretto da tastiere con un forte ascendente spirituale mentre la sei corde parla con accento blues.
Burst Apart perde l’effetto sorpresa del suo predecessore ma regala comunque 10 tracce pregne di quell’originalità e di quel talento cui il gruppo americano é innegabilmente portatore sano. Un album bello, nel quale perdersi e tornare ad ascoltarlo consapevoli di smarrirsi nuovamente ogni volta, proprio come quando ci si sveglia da un bel sogno e si prova ad addormentarsi nuovamente sperando di riprendere laddove si era lasciato il mondo onirico.
(Antonio Capone)
The Antlers – Parentheses by Frenchkiss