Avveduti e talentuosi, come una macchina appena uscita di fabbrica I Bancale nascondono le cose migliori sotto una pelle lucidissima ed elegante. Un’aggressività bollente che non risparmia I generi e non esita a mescolarli tra di loro. Tra pura poesia e citazioni di alta cultura il loro muoversi continuamente al di sopra delle definizioni li porta direttamente oltre il muro che interrompe lo sguardo, verso un’inedita frontiera. (Hanno risposto alle nostre domande Alessandro Adelio Rossi e Luca Vittorio Barachetti, rispettivamente chitarra e voce della band bergamasca, ndr)
Come nascono i Bancale?
Alessandro: Nel 2006 dal mio incontro con Luca a cui si è aggiunto Fabrizio poco dopo. Da un po’ pensavamo di fare qualcosa insieme unendo le nostre rispettive esperienze ed influenze e piano piano ha preso corpo il progetto diventando sempre più nitido e chiaro a tutti e tre e cioè il tentativo di raccontare in musica e parole la provincia come luogo geografico, sociale ed esistenziale.
La vostra musica sembra avere un impatto molto ermetico, rispecchiando in gran parte i testi, e rende difficile il riuscire a trovare punti di riferimento, avete particolari fonti di ispirazione?
A: A caldo può sembrare ermetico, ma non è nelle nostre intenzioni. Le fonti d’ispirazione maggiori arrivano per tutti e tre dal luogo in cui viviamo e dalle esperienze personali. Poi inevitabilmente ci sono le influenze artistiche, letterarie e musicali. Personalmente quando suono con i Bancale penso soprattutto a forme espressive che esulano dalla musica. Se sotto minaccia dovessi fare due nomi sicuramente su tutti Francis Bacon e Cormac McCarthy. Musicalmente Low e Loren Mazzacane Connors.
Luca: Se per ermetico intendi l’intenzione di asciugare, sia dal punto di vista musicale che lirico hai ragione. Tuttavia miriamo a comunicare, non all’oscurità. Le mie influenze sono musicali, letterarie e non solo. Ti cito I primi nomi che mi vengono in mente: Six Organs Of Admittance, Pasolini, Pavese, Loren Mazzacane Connors, Bachi da Pietra, il filosofo Umberto Galimberti, Caetano Veloso. Mi fermo qui.
Frontiera è il vostro LP di debutto, potendo, a che tipo di ascoltatore consigliereste l’acquisto?
A: A tutti gli ascoltatori dotati di curiosità, cioè (mi illudo) a tutti.
Suona piuttosto “docile” ed in maniera assai omogenea, avete avuto particolari difficoltà nelle registrazioni?
A: Abbiamo registrato in tre giorni tutto in presa diretta, anche alcune voci sono rimaste dalla prima take. Quasi tutti i brani erano finiti prima di entrare in studio e molti li suonavamo già nei concerti da un po’ di tempo, quindi non abbiamo avuto particolari difficoltà, tutto è filato via liscio anche meglio del previsto grazie anche a Xabier (Iriondo) e a Fabio (Intraina) che ci hanno permesso di lavorare bene e a nostro agio.
Vi avvalete di una sezione ritmica piuttosto inusuale, qualcuno vi definisce industrial, qualcun altro blues, per fare un esempio, due strade molto lontane tra di loro. Non vi spaventa la possibilità di poter confondere chi si confronta con il vostro modo di suonare?
A: Tentiamo proprio di fondere questi generi, la verticalità dell’approccio blues con la concretezza del suono industriale. Abbiamo un’idea, permettimi il termine, “religiosa” della musica che suoniamo e cerchiamo di esprimere con tecniche e mezzi diretti, istintivi, talvolta primitivi.
L: Non ci spaventa ma semmai speriamo di poter confondere chi ci ascolta. É da una sana situazione di confusione che cominci a porti delle domande: quando saliamo sul palco cerchiamo di essere il più possibile onesti e tutt’altro che rassicuranti.
Dal vivo il vostro appeal musicale rende molto di più, sembra puro intrattenimento “onirico-psichedelico”, il vostro lavoro in studio si svolge anche ragionando su questo aspetto oppure si tratta di un carattere puramente casuale?
A: Come dicevo prima le nostre canzoni sono nate live e le abbiamo registrate live, quindi ci viene abbastanza naturale riproporle nei concerti con la stessa formula e intensità.
Avete realizzato la colonna sonora della piece Sur e sous terre di Jamoletti e Valtellina, che esperienza è stata?
A: Abbiamo composto del materiale strumentale registrando delle improvvisazioni in studio e successivamente rielaborate. Ne è nato un tema che percorre tutto il film e che lega le parti documentaristiche a quelle narrative. Io avevo già collaborato con Alberto per una parte musicale di un documentario (El Bosque Terciario), da lì è nata un’amicizia e abbiamo continuato a collaborare fino alla realizzazione recente del video di Frontiera.
Eclettici e mai noiosi, i giudizi su di voi sono assai positivi, potendo dividere i meriti tra di voi c’è qualcuno che ne ha di più o sono suddivisi in maniera equa?
A: Come in tutti i gruppi di lavoro l’apporto dei singoli membri è diverso sia in termini di impegno che di creatività. Il nostro gruppo non fa eccezione ma dividiamo equamente gioie e dolori.
Siete impegnatissimi nel tour di promozione del disco in questo momento, avete altri progetti nell’immediato?
A: É uscita in quest giorni per la Ribess Records in collaborazione con l’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) la compilation “Addosso”: 3 dischi, 48 tra gruppi, cantautori, bande varie, per i 150 anni dell’unità d’italia, per la quale abbiamo realizzato una versione ad hoc di “Catrame” intitolata “Catrame 150”. Per ora ci concentriamo nel mettere a punto la presentazione dal vivo ma abbiamo anche iniziato a comporre nuovo materiale.
(Lorenzo Tagliaferri)