Filippo IV (1268-1314), re di Francia, stabilì con un editto che la prostituzione doveva avvenire su appositi barconi preparati con cura per esercitare la “professione” in condizioni idonee anche sotto l’aspetto sanitario, disposti lungo un corso d’acqua o un lago; la dicitura francese, quindi, era ”au bord de l’eau” (pronuncia “o bor de lò”). Da questa assonanza fonetica nasce la parola italiana “bordello”.
Bordello in tutti sensi dunque, sia quello lussurioso che quello assordante e confusionale, è quello che esce dalle casse con questo Fantachic di questo duo elettronico, metà francese (la chanteuse Dorothy Cherie) e metà savonese (Mauro Guazzotti, già conosciuto come MGZ).
Facciamo chiarezza: si parla di techno, quella europea degli anni ’90, martellante e ipnotica. Un titolo più appropriato per il disco sarebbe “Fantakitsch”, altroché. I paragoni immediati portano alla mente i big beat britannici di Chemical Brothers, Orbital e Shamen; anche se il gruppo più simile in circolazione sono i francesi Sexy Sushi, se putacaso li avete mai sentiti nominare. Questo album evoca quelle enormi discoteche buie di due decenni fa, con i laser verdi, le cubiste e l’ecstasy nei bagni, quando ancora non c’erano le leggi antifumo e si tornava a casa puzzolenti. Una moderna discoteca dell’est Europa, per capirci.
I suoni sontuosi e ripetitivi sovrastati dalla voce liquida e ingombrante della vocalist deputata alla costruzione delle melodie mentre il basso pompa duro; con i Bord de l’eau ritorna in modo esplicito l’edonismo che negli ultimi anni la musica dance aveva sottinteso e quell’erotismo universale che solo la lingua d’oltralpe sa esprimere. Quello che accade nel loro esclusivo privé resta nel loro privé: la sensualità e l’ubriachezza del ravanarsi nei pantaloni con le mani nascoste dai tavolini, le orge danzanti consumate su un dancefloor dove i punti di riferimento si perdono e dove teneri maniaci sessuali si strusciano ritmicamente su tutto ciò che respira. Un viaggio nel quale perdere i sensi per ritrovarsi a pomiciare con l’irruenza ancestrale di una danza perversa che sembra non finire.
Difficile che riascolterete questo disco dopo esservi svegliati con l’emicrania a mezzogiorno, sforzandovi di dimenticare le cose riprovevoli che avete fatto nel finesettimana (sebbene la sua ritmicità nevrotica cadrebbe a fagiolo per un corso di spinning), ma potete star certi che lo rimetterete su fra 7 giorni. E forse anche fra 14.
Quello che manca a questo disco sono le hit che si incollano nel cervello, compensate però da chicche piuttosto nerd come la divertente “La console” che elenca videogiochi di modernariato e forse vi farà scorrere una lacrimuccia mentre ballerete.
Ma non è un disco fatto per durare per sempre, non ne ha l’intenzione: è un disco fatto per gioire del momento effimero, per tuffarsi vestiti di tutto punto (camicia o pailettes) nel brodo del carpe diem. Un vero bordello intriso d’incenso.
“Allez, ecoutez la musique qui fait danser!”
Zitto e godi.
(Francesco De Paoli)