Non Ingerire, album d’esordio di questo terzetto su etichetta Black Fading Records, creatura di Cristiano Santini (anche produttore per questo lavoro), ex frontman dei mitici Disciplinatha (segnalo in catalogo anche i validi Sparkle in Grey e Luminal). In copertina una lisca (radiografia?) in fiamme e ci si ritrova subito tra ritmiche belle decise e rotonde, potenti e nella maggior parte dei casi calibrate, arrangiamenti curati, il tutto spalmato su 10 tracce che danno a sufficienza l’idea del progetto che gli IbridoXN ci vogliono proporre.
Il tutto inizialmente è godibile e convince: “Io non voto”, misurato inno alla partecipazione politica del cittadino senza troppa finta retorica e “Il seme della follia” con una bella voce litanica (il buon Lindo Ferretti da la sù, dalle montagne, guarda, ascolta e approva). Synth, campionatori e chitarre iniziano a essere un po’ ovunque. Con “L’anno del toro” arrivano intrecci in flanger, una voce ammiccante (attenzione) con liriche al limite questa volta del banale (peccato) e onestamente rimango deluso e mi trascino verso la fine di questo brano che spezza troppo presto lo scorrere in crescendo del disco; troppo slavata. Ma ora c’è “Bolla” e il ritmo cala ancora di più, l’arpeggio non lascia nulla e il seppur raffinato arrangiamento non salva la truppa neanche in questa battaglia; neanche il recitato a metà brano… e il finale in crescendo rivalutano questi ultimi 5 minuti d’ascolto. “Solo il bianco” è confusa e con un cantato che non trova mai bene il proprio posto sulla tela. Ma è con “La giostra” che mi preoccupo molto, ovvero quando sento arrivare alle mie spalle, furtivo e deridente, il fantasma (l’anima) di un Tricarico qualunque; una marcetta che si riempie (ancora troppo) di chitarra e con un kazoo che non rende più agevole far pace con questa (chissà) simpatica canzone (cit: “Infilare il mio gettone nella tua fessura e cavalcare il cavallo della libertà“). Devo a questo punto sorvolare sul negramarismo de “L’odio” e passare a “Nel buio” che si fa acida (e Depeche) calpestando territori super-cupi (coerenti con il titolo) e un finale di varianti sonore che ravviva le mie speranze; il tutto non è ancora abbastanza compatto e il bel tentativo si spegne placidamente. I tre musici laziali decidono di farmi un bel dispetto, a me e alle mie perplessità, offrendo il meglio alla fine (gran classe) con “Lo specchio in cantina”: campionatori e synth ormai li ho assimilati nel corso di tutto il disco, ma in quest’ultima traccia vengono realmente valorizzati e (di conseguenza) da me goduti, così semplici e solitari, fino al giusto (ora) crescendo di volumi e distorsioni. Un percorso più intimo, più semplice: questa strada è quella che preferisco/consiglio ai nostri eroi, dosando la potenza, lasciando che arda un po’ sul fuoco, lasciando che il fuoco respiri, perché il fuoco ha bisogno d’aria, quella che ogni tanto manca all’atmosfera di questo lungo esordio del quale si consiglia l’assaggio e che poi ognuno decida se ingerire o no il tutto.
(Gabriele Gismondi)