Conservo sempre una certa diffidenza verso i gruppi italiani che cantano in inglese. Mi sembra sempre che non vogliano assumersi la responsabilità di ciò che scrivono. E quando mi trovo di fronte agli AiM subito penso “Nooo, ancora?” prima di accorgermi, dalla tracklist, che i titoli per metà sono in italiano.
Mi incuriosisco e ascolto. “Reverse” l’abbiamo inserita nella nostra ultima compilation, ed è ormai già conosciuta, un mid-tempo totalmente anglofono che nulla ha da invidiare a produzioni più ricche al di là della Manica. Sulla stessa linea si colloca “Holy Day”, dove le atmosfere elettroniche si fanno più blande a totale appannaggio delle Fender, un must in ogni genere di indie-rock. Con “Il nemico in casa” comincia a sventolare il tricolore. È un pezzo molto à la Bluvertigo, in cui la voce viene “soffocata” dall’esplosione degli strumenti, e trascinata da un giro di basso che affonda prepotentemente. “Come se” rivede la lingua protagonista, con risultati decisamente meno entusiasmanti del pezzo precedente, ma è da apprezzare l’impegno, in bilico tra shoegaze e atmosfere à la Interpol, Editors, gente del genere. “We are sailing” è la title-track, e come ogni buona traccia che dà il nome all’album, è una specie di manifesto di intenzioni. Ruvida, cattiva, martellante. Si sente il tocco di Federico Dragogna alla produzione, riesce ad inserire una chitarra anche lì dove non c’entra proprio un cazzo. E quando la inserisce ci sta benissimo. Sembra una specie di math-rock come qualche estratto dal primo disco dei Battles, o quando i Sonic Youth erano giovani e scassoni, e lo stesso “rumore” viene ripetuto in “In Tre”, figlio di una probabile matrice più dance, ma ugualmente esaltante. Probabilmente si potrebbe, a voler proprio cercare il pelo nell’uovo, notare un eccesso di immaturità in alcuni passaggi, ma non è proprio il caso di stare a sottilizzare, anzi mi chiedo anch’io perché sto inventando parole dal nulla invece di buttarmi le cuffie in testa e farmi trascinare.
(Mario Mucedola)