Se dovessi pensare a una definizione per Niccolò Fabi, la prima cosa che mi verrebbe in mente di dire è che è “una bella persona”.
Questa sensazione è stata più volte confermata, ma soprattutto mai smentita, da persone che mi parlavano di lui, persone che gli gravitano attorno o da chi, come me, è solamente un sincero appassionato della sua musica e delle sue parole, spesso autentica poesia. É impossibile per me separare Niccolò dal dramma che ha vissuto un anno fa. Anche in questo concerto si è avvertita, forte, la presenza di qualcosa di soprannaturale. E non è per la maglietta con la scritta “Parole di Lulù”, che ci ricorda della bellissima serata originatasi dalla perdita della figlioletta Olivia, organizzata e allestita in pochi giorni a Casale sul Treja, alle porte di Roma, e nemmeno per la scenografia che fa assomigliare il palco più a una stanza di un bambino che non ad un teatro, con tanto di palloncini colorati. Ma per tutte queste cose assieme, comprese mille sfumature che è difficile spiegare da chi come me scrive più spinto dall’emozione che non per capacità.
Il teatro è pieno quando si spengono le luci. Entra Niccolò, quasi in punta di piedi, ma ciò non basta a fermare il primo di tanti applausi. Fabi è li, solo con 3 chitarre, due tastiere, un pezzo strappato a qualche batteria… appare quasi intimidito, intona i primi accordi e subito si avverte che sarà qualcosa di speciale. Ho solo i primi due pezzi per scattare foto, è la prima volta per me all’Arena del sole, e mi sento intimidito io per primo, me ne sto sempre allo stesso posto, ai margini come se avessi paura di disturbare la gente. Perchè questo è il concerto di Niccolò, questa è la sua serata, e il pudore mi impedisce di avvicinarmi di più. Anche perchè il volume è basso, i miei click disturberebbero, l’entrata in punta di piedi mi ha un po’ spiazzato. Posso permettermi anche una sola foto ricordo, magari da custodire gelosamente e pensare ogni tanto “vedi, io a quella serata ci sono stato realmente”. Torno a sedermi accanto a Barbara, nel posto che avevo prenotato 20 giorni prima, quando ormai la serata era già quasi sold out. Per una volta spengo macchina, ripongo gli obiettivi nella mia borsa e mi accingo ad ascoltare il concerto, senza altri pensieri. Le prime canzoni volano via velocemente, nei silenzi tra una canzone e l’altra Niccolò non parla molto ma si fa capire con piccoli gesti e risponde alle urla solitarie (“Bentornato!”, “Vieni piu’ spesso”) che seguono gli applausi dopo ogni pezzo.
Poi succede qualcosa di strano. Niccolò smembra a poco a poco il palco, che diventa sempre più minimalista. Ogni gesto, ogni canzone, è lui, da solo, a fare tutte le operazioni. É lui stesso che si giustifica, che dice “di solito i musicisti partono da soli per semplificarsi la vita. Io invece l’ho fatto piu’ probabilmente per incasinarmela”. Pian piano sento sciogliermi il cuore, un po’ alla volta arrivano tutte le canzoni che avrei voluto nella mia scaletta ideale, da “Costruire” a “É non è”, da “Offeso” a “Solo un uomo”. Ognuna con un proprio, nuovo arrangiamento, figlio delle necessità (è la prima volta che vedo Niccolò senza i fidi Roberto Angelini, Fabio Rondanini e gli altri musicisti con cui abitualmente suona) ma anche di una nuova voglia di sperimentare che chissà dove ha preso, anche se ho i miei sospetti. È un Niccolò fragile e forte, sensibile come solo lui sa essere, che non lascia nulla al caso. La scenografia, sempre più spoglia, perde anche gli strumenti, rimangono solo quei due palloncini, uno rosso e uno blu, illuminati e che fanno male. Sono per Lulù, Niccolò non ce lo dice, ma lo sappiamo tutti. Impossibile restare freddi, impossibile non commuoversi, non provare solidarietà per una persona, una bella persona come lui. Penso dentro di me che se fossi un musicista, vorrei essere Niccolò Fabi. Con la sua sensibilità e un bagaglio umano che pochissimi possono vantare, oltre a un talento davvero genuino, dimostratosi come forse mai prima di questo tour. l finale è un mix di sensazioni belle e tristi. Da una parte un meraviglioso concerto che va finendo e che senz’altro ricorderemo, dall’altra una paura, una certa inquietudine che affiora così come una domanda pesante: “Ma cosa sta cercando di dirci ora?”. La sensazione, dopo una scaletta così, quando per chiudere sceglie la struggente “Lasciarsi un giorno a Roma” è quella di un addio, più che di un arrivederci. Sul palco spariscono gli ultimi strumenti, sparisce lui, rimangono solo due i due palloncini rosso e blu. L’emozione è al massimo, il pubblico si commuove.
Non basta per risollevarsi un bis allegro e amaro come ora può essere “Parole parole”, la canzone che Niccolò ha inciso assieme a Mina a seguito della scomparsa di Olivia (era la sua canzone preferita). Ritornano alla mente le parole che ho letto di una sua intervista a proposito di questo “Solo Tour”: “Ho deciso di fare un tour da solo perchè ho voglia di studiare, di entrare in quello che ho scritto, guardarlo diversamente e cercare di conoscerlo meglio prima di voltare pagina o cambiare quaderno”.
Non lasciarci un giorno a Bologna, Niccolò.
(Roberto Ricciuti)
Foto: Roberto Ricciuti