La prima cosa che dovrebbe venire in mente quando leggiamo LowBrow! è la corrente artistica pop-surrealista nata negli anni settanta in America. Ma focalizziamo l’attenzione sul punto esclamativo: ecco, quando trovate questo bel termine seguito da punteggiatura, stiamo parlando dello pseudonimo di Gianluca Rimei, il quale non è un quadro, né un disegno, ma un musicista in carne, ossa e percussioni. Un nome che ai musicofili italiani non risulterà nuovo, vista la lunga ed importante lista di collaborazioni che Gianluca ha collezionato nella sua carriera artistica: batterista per Il Genio, Beatrice Antolini, Jolaurlo, per citarne alcuni.
16 black & white buttons è il suo primo progetto solista, un intimo sguardo dentro profondità sonore ed emotive, composte da sette perle avvolgenti, fatte di atmosfere ritmiche, sinestesie sensoriali di immagini, turbamenti e persuasioni elettroniche. Completamente autoprodotto, forgiato dal musicista in solitudine, con l’aiuto di pochi compagni di viaggio: batteria, sintetizzatori, voce, idee. Scarno e minimale, mai freddo, il disco sembra venuto alla luce senza alcuno sforzo, è infatti palpabile la voglia dell’autore di mettere in note e parole visioni e armonie che teneva dentro da tempo. Le tracce scorrono spontanee, libere, come una passeggiata dentro una coscienza, e presentano una sconcertante semplicità che si imprime indelebile, quasi involontaria. Cantato interamente in inglese, la struttura armoniosa non lascia spazio alla distrazione, tenendo sempre alta una certa, sussurrata, tensione, molto ben articolata in calde soluzioni. Si intravedono i The Notwist della svolta elettronica, per la raffinatezza, la soffusa malinconia e la perfezione del particolare, sempre privo di inutili eccessi di apparenza.
Ogni traccia è un piccolo mondo di uno stesso universo confuso ma indissolubilmente legato. Il preludio è una filastrocca irrequieta, la colonna sonora di un sogno turbato, il presagio di una notte di epifanie, la prima delle quali irrompe, ovviamente improvvisa, con l’accendersi della seconda traccia, “The good one”, portavoce del volto più spensierato di Rimei, con accenni pop ed elegantissimi, come del resto “Peanut”, dichiarazione spassionata dell’indole visionaria e sopra le nuvole del musicista. La tendenza alla sperimentazione non vieni mai dimenticata, anzi, è rimarcata dall’intermezzo sonoro “Fragment”, 56 secondi di suoni al limite del rumorismo viscerale.
Il lavoro è estremamente piacevole, e mi dispiace ammettere che dopo vari ascolti diventa un po’ ripetitivo, ma sono certa che questo debutto sia il germoglio per il fiorire di una identità più marcata e originale.
(Clarissa Tempestini)