Who is that wants a stoner punch?
Se la vostra risposta alla domanda iniziale è “Sì” potete affrontare questa folle corsa su una highway sonora chiamata stoner rock accompagnati dalla granitica opera prima dei Gandhi’s Gunn: Thirtyeahs.
Il gruppo genovese confeziona un album di otto tracce rigorosamente legate alla tradizione del rock pesante di Black Sabbath, Fu Manchu, Kyuss e Sleep (per citare i più noti). Si può quindi immaginare cosa ci aspetta, ma in campo stoner le sorprese non mancano mai e i Gandhi’s Gunn sono una di queste. La band riesce a spaziare e sperimentare le mille sfaccettature dello stoner regalandoci una vera perla del genere.
L’album si apre con la carica rock’n’roll di “Overhanging Rock” ottimo pezzo di presentazione, che strizza l’occhio a Queens Of the Stone Age e Unsane. La successiva “Going Slow” è ipnotica e potente come un pezzo degli Sleep. “Man of Wisdom” è psichedelica e meravigliosamente accessibile, grazie a delle linee vocali semplicemente perfette (importante sottolineare la profondità della bellissima voce di Hobo in tutti i pezzi del disco). “23 Bodies” colpisce per l’impatto immediato e il piglio leggermente punk che avvicina per un momento il gruppo alla tradizione pre-grunge di Mudhoney e Soundgarden, ma è una delle tracce meno riuscite dell’album. “Club Silencio” ci fa apprezzare la voce di Hobo anche in versione melodica e pacata ed inoltre delizia l’ascoltatore con dinamiche studiate alla perfezione per darci l’idea di ricevere uno travo d’acciaio sullo stomaco . “Lee Van Cleef” crea una buona atmosfera desertica, ci si immagina serpenti a sonagli e cactus, ma lascia indifferenti rispetto a quello che sta per venire all’orecchio dell’ignaro ascoltatore, il manifesto e capolavoro del gruppo: “A Night So Long”, sette minuti, quasi completamente strumentali, dove sono rintracciabili psichedelia, acid rock, doom. La canzone è ciò che meglio sintetizza in veste personale ed emozionale la tradizione dell’universo stoner rock: siamo di fronte ad un pezzo inebriante e sventrante. In sette minuti si coglie la grandezza dei genovesi: la capacità di rileggere un genere ormai spremuto con un citazionismo colto, ma mai spocchioso o banale, unito a una personalità spiccata, che colpisce emozionalmente l’ascoltatore. La conclusiva “End Titles” è un piacevole saluto elettro-acustico strumentale con qualche pizzico di sperimentazione psichedelica.
Per concludere, i Gandhi’s Gunn ci regalano un’opera completa, personale e mai scontata, bella da ascoltare e riascoltare, interessante per gli amanti del genere e godibile anche per i nuovi adepti a quel granitico universo chiamato stoner.
(Aaron Giazzon)