Anno domini 2011. La Terra, devastata da continui conflitti tra Paesi, è diventata un luogo ostile e senza speranza alcuna di ritornare come un tempo. I terrificanti paesaggi apocalittici si incollano negli gli occhi di chi ancora ha il coraggio di guardare al di là del proprio naso. Il cielo perennemente incandescente a prima vista sembra bruciare il prezioso ossigeno. Automobili come carcasse di animali morti occupano le strade ormai fagocitate dalla vegetazione grigia e agonizzante. I palazzi semi distrutti, da armi di distruzione di massa, spuntano dal terreno come aghi ipodermici che cercano di pungere il cielo. In questi ambienti post-atomici gli unici ad essere sopravvissuti sono gli esseri umani e gli scarafaggi. Alcune decine di milioni sparsi in quello che un tempo veniva chiamato Mondo civilizzato. Tutta la fauna animale che prima vi abitava ormai è solo uno sbiadito ricordo. L’unico sostentamento per sopravvivere è formato da una soluzione chimica, difficile da trovare, da ingerire o da iniettarsi.
Da qualche parte a Londra c’è un laboratorio. Al centro di questa stanza, dentro una spessa teca di vetro, c’è l’esile corpo di un musicista che galleggia in un denso liquame rosa. Il suo nome è Chris Corner, e per restare in vita viene alimentato tramite delle soluzioni chimiche le quali penetrano nel suo corpo attraverso tubi situati in vari punti del suo corpo. Quella non è una semplice operazione di alimentazione per tenere in vita un corpo, ma piuttosto un complesso esperimento per far sì che quel corpo continui a comporre musica. La persona che conduce questo esperimento un tempo era molto famoso nell’ambiente musicale, ora però non ha più importanza il suo nome e quello che ha fatto in passato ma quello che sta facendo, e quello che sta facendo è trasferire pensieri, idee, sensazioni, emozioni trasformando tutto in musica da quel corpo semi-cosciente all’etere circostante. Ad ogni giro di manopole leve e bottoni Chris si contorce in quel fluido, che ribolle, e attraverso dei grammofoni utilizzati come casse fuoriesce della musica. La commistione di elementi tra il conduttore e la “macchina musicale” fatta di carne e sangue genera suoni che rispecchiano i tempi in cui vivono; Si avverte tutta la decadenza elettronica che ti si appoggia sulla pelle rendendola grigia e opaca (“FIre and Whispers”, “Bernadette”). I battiti (per minuto) di quei due cuori si trasformano in sintetici colpi che scandiscono un tempo fatto da improvvise accelerazioni impazzite (“Music People”). I pensieri di Chris iniziano a prendere forma, si chiede della sua trasformazione, “Look at me/what i am become”, saluta quelli che un tempo erano i suoi amici spiegando in qualche modo quello che gli sta accadendo, “I just wanna turn the light on in this volatile times” (“Volatile times”). La sua voce molto spesso raggiunge la teatralità del creatore dei suoni dei Depeche Mode: quel Martin Gore artefice di perle di oscura bellezza come “One Caress”. Si affacciano anche momenti di introspezione quando le pulsazioni riprendono uno stato di calma apparente e cessano di scandire ossessivamente il tempo (“Dance with me”) lasciando così il posto ad una leggera pioggia fatta di soli archi, chitarra e piano. Lentamente si scoprono pezzi di un passato non troppo lontani: quel laboratorio è situato in una “casa delle anime perse”, chiamata anche manicomio prima che si scatenasse l’Apocalisse, e Chris lo racconta in due brani, “Commanded by voices” e “Into Asylum”, i quali perdono la teatralità inquieta con la quale sono ricoperti gli altri brani a favore di una pantomima grottesca e un po’ sopra le righe. Gli ultimi due brani mostrano quanto ecclettismo circola nelle arterie di questo musicista: “Cold Red Light” è sostenuta da elettroniche acide e danzereccie flashbackando i Goldfrapp più perversi (quelli conosciuti in “Strict Machine”), mentre invece “Oh Beautiful Town” partorisce un dark-pop drammatico da fine del mondo: percussioni rotolanti, ritmi cadenzati supportano suoni tetri per lo struggimento finale del musicista. Un atto d’amore per la sua città ricostruita e vissuta ormai solo nella sua testa.
Volatile times fa un passo avanti rispetto al precedente e omonimo album degli IAMX la cui struttura degli arrangiamenti era meno curata ma comunque avvincente, anche se non originalissima. Questo nuovo episodio invece emana, ed amplifica, in tutti i brani una densa drammaticità appena accennata nel suo predecessore.
Ora Martin spegne quegli strani congegni, abbassa le leve e resetta la macchina; Chris è stremato, ha continui spasmi e respira a fatica tuttavia un largo sorriso, simile ad uno squarcio, gli allarga i tratti del viso. Le luci di quell’occulto laboratorio si spengono lentamente lasciando vagare nell’aria, sospinto lontano da un filo di vento, il risultato di questo affascinante esperimento: Continuare a divulgare musica, in qualsiasi modo possibile. Solo così la vita può continuare ad avere ancora un senso… almeno per tutte quelle persone che credono ancora nelle cose belle e pure come la musica.
(Antonio Capone)