Se non mi fossi trovato casualmente ad un loro concerto a due passi da casa mia, forse non avrei colto appieno l’importanza e la qualità di questa band. Ma fortunatamente ero lì. Potrò avere il piacere di parlarne.
Sotto il nome Spiral69 si cela quello di Riccardo Sabetti, fondatore e anima del progetto. Dopo aver militato in ambito darkwave con gruppi come Pixel e Argine, decide di dar vita ad un’idea fortemente personale, dando libero sfogo alla sua creatività lontano dalle retoriche di gruppo. Ed ecco pronto No paint on the wall, che arriva due anni dopo l’esordio con A filthy lesson for lovers. Nel vero, questo lavoro si avvale della collaborazione di Licia Missori (piano), Stefano Conigliaro (batteria), Enzo Russo (chitarra) e Andrea Ruggiero (violino).
Le molteplici influenze che caratterizzano l’album non lasciano spazio a punti di riferimento né a facili considerazioni, benché esista in realtà un unico filo conduttore. Una forte carica emotiva attraversa tutti i brani, uno per uno, sorretti da interpretazioni vocali di grande spessore seppur differenti tra loro. Ci si muove tra scenari neo folk, darkwave, industrial senza mai scadere nella banalità e soprattutto senza punti di flessione. No paint on the wall dischiude un mondo fatto di romanticismo, ricordi, amori disillusi, erotismo, in cui la componente drammatica si mescola spesso a momenti di grande carica sensuale. Meriterebbero una citazione tutti i brani, ma per ovvi motivi lo facciamo solo per alcuni.
“Cold”, primo singolo estratto, ti resta dentro in maniera indelebile: struttura semplice e schematica, valorizzata dagli archi e da un ritornello orecchiabile, che si stampa in mente già al primo ascolto. Da una passeggiata solitaria per le vie di Berlino nasce (appunto) “Berlin”, raccontata in un’atmosfera neo folk, molto vicina a quella dei Death in June: sullo sfondo i fantasmi di una città divisa e martoriata. La title track “No paint on the wall” è una ballad intensissima e malinconica, mentre “The girl who dances alone in the disco” ha decisamente un accento più dinamico: ritornello sorretto da chitarre rumorose (forse troppo), dove la ragazza in questione è interpretata (idealmente) dalla voce di Tying Tiffany. La conclusiva “Bleeding through” per un attimo riporta alla mente “Atmosphere” dei Joy Division, per il suo incedere lento e per il suo carattere onirico, spirituale.
Chi non ha avuto modo di conoscere gli Spiral69 sin dall’esordio (me per primo) può farlo ora con questo convincente No paint on the wall. Da vicissitudini buie e da esperienze negative, reali o creative che siano, si può trarre una forza quasi sorprendente. Questo è un album ispiratissimo.
(S. de Traumnovelle)