Il progetto di Ferruccio Spinetti e Petra Magoni arriva al suo quarto capitolo, Complici, e raggiunge la cosiddetta “maturità artistica” con un disco mozzafiato, che, oltre alle 11 tracce inedite che lasciano intendere i futuri sviluppi del progetto, contiene 3 cover: “Mirza” di Nino Ferrer,“Mon Amour” di Salvador e “Felicità” di Lucio Dalla. Si sono avvalsi della collaborazione di autori come Pacifico, Max Casacci, Pasquale Ziccardi, Carlo Marrale con un testo di Bruno Lauzi, Alessio Bonomo, Alfonso De Pietro, Al Jarreau, Sylvie Lewis, Luigi Salerno, ed il risultati è appunto questo meraviglioso album, del quale ne parliamo al telefono proprio con Ferruccio e Petra.
Musica Nuda è un progetto coraggioso, volto quasi ad imporre un silenzio musicale in un momento nel quale più fai rumore più (forse) ti ascoltano. Come nasce questo vostro progetto così controcorrente, e forse anche per questo così irresistibile?
Ferruccio: È nato in maniera molto casuale, mai io e Petra sette-otto anni fa pensavamo di mettere su un duo, un gruppo che negli anni avesse generato poi così tanti dischi, tanti live e cose belle. Le cose meno calcolate a tavolino e meno programmate sono quelle che spesso riescono meglio, come fortunatamente è avvenuto per Musica Nuda. Per quanto uno possa pensare che ci sia stato uno studio, una ricerca alla base, invece no. È tutto molto casuale e molto istintivo.
Petra: Il progetto è nato sicuramente per caso, nessuno, né io né Ferruccio pensavamo di fare un duo contrabbasso e voce, non è che l’abbiam pensato a tavolino. Anzi, ci siamo incontrati sul palco e dopo ci siamo chiesti perché non lavorare insieme, visto l’entusiasmo che suscitava il suono prima di tutto in noi, ma poi anche nelle persone che ci ascoltavano. Ci sono state varie ipotesi, come appunto quella del silenzio, dell’importanza di far capire l’essenza della canzone, la sua emozione primordiale, anche perché quando un autore scrive una canzone, generalmente la scrive con un unico strumento, sia esso un pianoforte, una chitarra, e così via. Poi c’era anche il discorso dei nostri due suoni. Lui per forza di cose ha un suono grave, mentre io ho una voce piuttosto acuta, e quindi questo incontro di mondi sonori molto distanti tra loro ma con lo stesso modo di intendere la musica, creava quest’alchimia fatta anche di spazi vuoti, che non siamo abituati a sentire.
Come vi siete incontrati? Nel senso, qual è stata la molla che è scattata per farvi decidere di intraprendere questo percorso insieme?
F: Semplicemente il fatto che quando ci siamo visti le prime volte per pensare ad un repertorio, magicamente ci riusciva tutto in maniera molto semplice e molto immediata, senza dover fare duemila prove, calcoli e ragionamenti vari. Ci siamo trovati anche subito d’accordo sulla scelta del repertorio, scegliendo brani che richiamano un po’tutto, dal rock al pop al jazz, quindi questa ecletticità ha sicuramente aiutato a confermare il successo del gruppo. Se avessimo fatto solo standard jazz, come avviene nelle formazioni classiche voce e contrabbasso, sicuramente non saremmo arrivati dove siamo ora.
P: La necessità. Ci siamo incontrati la prima volta durante una specie di jam session nelle Marche, e lì abbiamo suonato “Roxanne” in duo, e ci siamo meravigliati, abbiamo detto “Magari un giorno faremo qualcosa insieme”. Poi l’occasione c’è stata perché dovevo fare una serata in un locale, con un chitarrista che si è ammalato, e quindi ho chiesto a Ferruccio se mi poteva salvare in quella situazione, visto che fra l’altro non abitava molto distante da quel luogo. Ci siamo trovati insieme per necessità, e da allora non abbiamo più smesso. Non ci saremmo mai immaginati di arrivare a suonare all’Olympia di Parigi piuttosto che all’Hermitage di San Pietroburgo o al San Carlo di Napoli, però è successo e siamo contentissimi.
Complici è quasi unanimemente considerato il vostro disco più bello. E’ composto da 11 tracce inedite, più tre cover. Mi pare sia la prima volta che Musica Nuda si cimenta con così tanti inediti abbandonando quasi del tutto il terreno della rielaborazione (magistrale) di pezzi altrui. É stata una scelta artistica, o piuttosto un’esigenza?
F: Veramente più un’esigenza, e di conseguenza anche una scelta artistica. Dopo 8 anni in cui avevamo capito che eravamo capaci di stravolgere completamente il concetto di cover, ci è venuta naturale la voglia di cimentarci con degli inediti, ma soprattutto la voglia di fare un disco di belle canzoni. Per cui nel disco troverai solo quattro tracce dove c’è la firma Magoni-Spinetti, poi ci siamo fatti aiutare da autori più o meno famosi nel panorama italiano ed internazionale della canzone, perché a noi piaceva fare un bel disco, come per un regista fare un bel film, o per un pittore fare un bel quadro. Ci interessava fino ad un certo punto che i pezzi fossero firmati tutti Magoni-Spinetti, errore in cui spesso cadono gli interpreti, anche famosi, quando si scontrano con la scrittura ed escono fuori dei dischi veramente mediocri. È proprio un altro mestiere quello di musicista e quello di scrivere canzoni.
P: Beh, tutte e due, una non è distinta dall’altra. È una nostra esigenza già dal secondo disco, quella di cimentarci con brani nostri o comunque inediti. Ci siamo incontrati sul terreno delle cover perché abbiamo cominciato a suonare insieme dal vivo, e quindi “La sai questa? La sai quella? Lo sai Battisti?”. Già dal secondo disco erano presenti brani a firma nostra o di altri, scritti per noi. L’esigenza di fare un disco intero era lì da un po’, però adesso ci siamo sentiti con la giusta maturità e pensavamo fosse il momento giusto per farlo davvero. Tra l’altro ce la siamo presa comoda forzatamente, perché eravamo in giro a suonare come pazzi. È un disco non pensato, ma molto meditato. Avevamo registrato circa cinquanta canzoni, abbiamo cominciato nel gennaio dello scorso anno, ma in tutto l’anno avremo fatto sette-otto giornate in studio, non è che ci siamo chiusi per mesi. Andavamo un giorno, poi ascoltavamo il materiale, poi ci tornavamo un mese e mezzo dopo e così via. È stato un lavoro fatto anche molto di ascolto. Piano piano, il disco di inediti ha cominciato a prendere forma. Volevamo proprio fare un disco di inediti, perché fare un altro disco di cover in questo momento sarebbe stato meno stimolante artisticamente. Ci piaceva avere una nuova sfida, una nuova cosa da fare, diversa ma che comunque ci appartiene è stato un modo per non fermarci, per non sedersi sugli allori.
Nel disco ci sono due pezzi scritti da Max Casacci e Pacifico. Come nascono queste collaborazioni, e soprattutto, che effetto vi fa interpretare musiche e parole di due artisti del genere?
F: Hai pescato proprio i due personaggi più lontani! Pacifico è un amico di vecchia data, oramai è dal 2005 che collaboriamo, in passato lui aveva già scritto altri pezzi per noi, addirittura abbiamo scritto insieme delle canzoni, così come io ho registrato come contrabbassista nei suoi dischi e Petra ha duettato con lui. Mentre invece Max è assolutamente un amico dell’ultim’ora. Ci siamo conosciuti massimo tre-quattro mesi fa, lui venne ad un nostro concerto a Torino e dopo un paio di giorni ci propose questa canzone, che è “Rimando“, che ci ha subito colpito in maniera molto (tanto per cambiare) immediata ed istintiva. Siamo andati in studio e l’abbiamo realizzata. È un esempio di come a noi piaccia assolutamente essere aperti, aperti a livello di collaborazioni, anche se mai come in questo disco ci tenevamo a rimanere in due. Quindi, sfida nella sfida era quella di riuscire a fare un disco di inediti però senza l’aiuto di altri strumentisti, che – non ti nascondo – ci avrebbe aiutato, anche a me avrebbe aiutato tantissimo. Però abbiamo voluto evitare che domani, se vado a suonare a Parigi o ad aprile nella tournée italiana, non possiamo fare i pezzi perché ci manca una chitarra.
P: Con Pacifico ormai c’è un’amicizia che dura da diversi anni, ed ha già scritto tre o quattro canzoni per noi. A volte solo testo, su musica nostra, a volte ci chiama o chi scrive una mail dicendo “Ho un pezzo per voi”, ce lo manda e sappiamo già che va bene, con lui si va sul sicuro. È uno dei migliori artisti in circolazione, ed è capace di scrivere pensando a chi andrà ad interpretare la canzone. Non a caso scrive per tantissimi grandi artisti. Max Casacci invece l’abbiam conosciuto più recentemente, è venuto ad un paio di nostri concerti, e ci ha dato due canzoni. Una è questa “Rimando”, che è molto radiofonica e su cui fra l’altro abbiamo fatto il nostro primo video. In otto anni non avevamo mai fatto un video. Quindi ci ha portato a fare un’altra cosa nuova, stimolante, interessante. L’altro pezzo sicuramente non rimarrà in un cassetto a lungo, anche perché abbiamo ancora intenzione di collaborare. Certo, con Pacifico siamo anche musicalmente più vicini, visti da fuori. Invece pensando ai Subsonica e Musica Nuda, sono due progetti apparentemente distanti anni luce, ma in realtà poi nella musica i confini sono delle cose messe lì un po’ a caso. Come anche sulla Terra i confini sono immaginari, passando da una nazione all’altra non c’è una linea a terra, ed è così anche nella musica. I confini sono inutili. La cosa bella del nostro progetto è che in un negozio ci trovi nello scaffale della musica italiana, in un altro nel jazz, in un altro addirittura nella world music, e questo ci fa piacere, perché effettivamente siamo così.
Il suolo francese vi è sempre stato particolarmente amico, e anche stavolta si vede nelle date del tour come molti concerti si terranno in Francia. A cosa pensate sia dovuta questo “interesse” dei francesi alla vostra musica?
F: Quest’interesse risale al 2005. Diciamo che abbiamo avuto una grande fortuna. Uno dei nostri primi concerti in Francia fu in una radio francese molto importante che si chiama Radio Fip, e quindi siamo entrati dalla porta principale, nel mondo della musica francese. Poi, come accade per noi italiani, che ci fissiamo o ci affezioniamo a degli artisti stranieri, anche i francesi si sono affezionati a noi. Ti faccio un esempio: loro spesso ci chiedono di esibirci in canzoni italiane, piuttosto che canzoni inglesi o – perché no – francesi, perché sono curiosi della nostra musica, della nostra cultura, del nostro modo di scrivere, e di interpretare canzoni italiane.
P: Sicuramente è frutto di tante cose, non ultima la fortuna. Abbiamo avuto l’opportunità di fare un concerto in una radio in Francia, dal vivo, in un auditorium, in un programma che fa qualcosa come due milioni di ascolti. E quindi la gente ha subito risposto benissimo a questo nostro live. E già lì si è messo in moto un meccanismo per cui abbiamo un agente francese, abbiamo un discografico francese, che ci permettono di essere così presenti lì. Però abbiamo suonato in tantissimi paesi del mondo, però – come ad esempio l’organizzatore del festival di San Pietroburgo, che ci ha visti su YouTube e ci ha invitati a suonare lì – è un’altra cosa rispetto ad avere un circuito e lavorare molto in un paese. Poi, essendo in due, non avendo un lancio mediatico internazionale, ed essendo impegnatissimi con le date, è un percorso molto lungo. Però in Francia siamo sempre accolti benissimo, forse perché la Francia, proprio come stato ha un’attenzione per la cultura decisamente migliore rispetto a quella che c’è nel nostro paese.
La prima data del nuovo tour è stata a Roma, all’Auditorium Parco della Musica, ed è andata sold out. Che effetto vi ha fatto sapere che guardando di fronte non avreste trovato nemmeno un posto libero?
F: Guarda, fa sempre tantissimo piacere, soprattutto in momenti bui e di crisi come quelli che stiamo vivendo ora, non solo in Italia, ma anche nella musica. La soddisfazione più grande è quella di esserci costruiti questo pubblico, grazie fino ad oggi al famoso passaparola. Come sai, radio e tv non è che ci hanno considerato più di tanto fino ad oggi. Ma guarda caso anche con l’etichetta Emi e Blue Note, stiamo avendo la visibilità che secondo me ci meritiamo, come gruppo che esiste, come gruppo che non è snob, non è un gruppo di nicchia. E lo capisci dal pubblico, che va dai 15 ai 75 anni. Questo ti dà una misura di come la musica non abbia barriere, e tutti i vari slogan, piuttosto che le etichette, che spesso sono messi dai giornalisti o dai discografici, lasciano il tempo che trovano.
P: Ci è dispiaciuto per quelli che sono rimasti fuori, che non erano pochi! Ovviamente ci ha fatto piacere sapere che era tutto esaurito dieci giorni prima, però dispiace perché fino all’estate non torneremo a Roma, e sappiamo che c’è gente che ci aspetta. A volte penso sia meglio avere qualche sediolina libera in più ma accontentare tutti, piuttosto che lasciare fuori qualche centinaia di persone. Purtroppo la sala era da 700, quindi diciamo la più piccola dell’Auditorium, comunque è successo anche a Firenze il giorno dopo. È un bellissimo momento, siamo molto contenti e cerchiamo di fare il nostro con professionalità.
Nel disco c’è “Professionalità”, che vi vede complici non solo spiritualmente, artisticamente, ma anche per quanto riguarda la vera e propria produzione di brani. Ci sono altri episodi in cui Ferruccio scrive la musica, Petra ci mette i testi. Com’è stato “incontrarvi” anche in fase di stesura dei brani?
F: Anche negli anni passati, con Musica Nuda 2, avevamo già scritto insieme dei brani. Di solito è chiaro che io scrivo la musica e Petra il testo, però altre volte addirittura i pezzi nascono durante il soundcheck. Lì spesso, improvvisando, sono venute fuori delle idee molto interessanti, che poi il nostro fonico Alessio Lotti registra sul computer e poi andiamo a riascoltare. Non c’è un’unica maniera di scrivere, per quanto riguarda me e Petra, e anche per quanto riguarda le dinamiche dei gruppi in generale, non c’è mai un’unica maniera. Sicuramente l’aspetto armonico, gli accordi è gestito da me e il testo di Petra, ma potrebbe succedere anche il contrario domani!
P: Non c’è una regola, spesso i brani nascono durante un concerto, su altri Ferruccio mi presenta una musica e io scrivo le parole, com’è successo nel caso di “Cinema”. Io ho una serie di testi che stanno lì, che non ho pensato come canzoni, però ad esempio nel disco c’è “Sentieri, strade, saluti” che è mia, e che un mio amico ha musicato. Però non mi considero certo una cantautrice. Ho il massimo rispetto per chi sa farlo. Io mi considero un’interprete, che però ogni tanto scrive una cosa carina sia come melodia, sia come testo, però non ho la minima intenzione di propormi come autrice. So che sono molto più forte come interprete.
Pubblicate per la Blue Note, una divisione della EMI. Molti dischi usciti per conto di quest’etichetta sono considerati tra i migliori in assoluto nella storia del jazz. Quindi, implicitamente, il vostro genere è collocabile nel filone jazz, anche se ci sono delle infinite venature, rimandi a generi, citazioni, che vi collocano in una posizione indefinibile, quella che viene chiamata “anomala”. Voi, anche alla luce della vostra formazione musicale (Tranquilla Petra, non ti chiederò del periodo Artepal), a quale musica sentite di appartenere?
F: Pubblicare con la Blue Note ed essere considerati jazz per me è un onore, è tutt’altro che un problema. Per me siamo jazz già dal momento in cui nasciamo come formazione contrabbasso e voce, sia che suoni Battisti, sia che suoniamo un pezzo inedito o Somewhere Over The Rainbow, siamo jazz. Interpretare una canzone solo con voce e contrabbasso, mi dà inevitabilmente modo di poter improvvisare, quindi poter armonizzare continuamente in maniera diversa la canzone. Dopodiché, io personalmente mi sento un musicista e basta. Non lo dico per essere snob o per essere fico. Mi sento un musicista nel senso che ho sempre amato e continuo ad amare tutta la musica, dalla classica al jazz al rock. L’importante è che sia bella musica e che mi diverta a suonarla. Insegno in una scuola che si chiama Siena Jazz, che può sembrare un controsenso, però…
P: Io penso che Musica Nuda sia una specie di genere a sé stante, perché in realtà già non mi piacciono i generi e le categorie nella vita, figurati nella musica. La cosa bella di questo tipo di formazione è che posso permettermi di cantare tutto quello che ci piace senza perdere l’identità. È un’identità così forte, così riconoscibile nel suono, un marchio, che mi dà la libertà di cantare quello che voglio. Non è che suoniamo tutto, è che tutto quello che suoniamo diventa nostro. Questa è la realizzazione di un sogno, non avrei potuto scegliere una cosa sola piacendomi un po’di tutto, piacendomi le emozioni che ti dà la musica. A me piace ascoltare di tutto, dalle sinfonie alle musiche per bambini, dipende dalle circostanze, dalla qualità. Anche nella canzone per bambini può esserci un’altissima qualità. Mi vengono in mente le canzoni di Lauzi, di Endrigo…comunque non potrei indicarti un genere preciso. So che ci mettono nel jazz, la Blue Note è un’etichetta jazz prestigiosa. Ma è vero anche che nel corso degli anni Blue Note ha pubblicato una serie di cose che non sono jazz in senso stretto, per esempio Norah Jones che ha scritto canzoni molto belle ma, appunto, canzoni. Già quando c’è una voce di mezzo il jazz cambia definizione, viene considerato una cosa a parte. Poi nel jazz vocale si tende anche a confondere l’inedito col repertorio. Fondamentalmente vengono considerate jazz Summertime, Night and day eccetera, però quello era un modo di aggregazione, i jazzisti americani quando si vedevano cominciavano a suonare quelle, perché erano degli standard che tutti conoscevano. Un po’come abbiamo fatto io e Ferruccio quando ci siamo visti, cominciando a suonare Lucio Battisti e i Beatles, perché per noi che siamo degli anni ’70 e siamo europei, certe canzoni sono standard. Anche in quel campo lì mettere dei paletti è riduttivo.
Il vostro nuovo disco si chiude con una pausa. Nel senso, “Felicità” è collocata dopo trenta secondi di silenzio, quasi fosse una ghost track. Qual è il motivo di questa scelta?
F: Volevamo significare che il disco, dopo “Cinema” – altro pezzo di cui la musica è mia ed il testo di Petra – per noi finisce lì, alla traccia 13. Per significare che è un disco di inediti, non a caso Felicità è l’unica cover in italiano. Non ci piaceva l’idea di fare la Ghost Track, anche quella è un’idea molto inflazionata, ma ci piaceva mettere Felicità come se fosse un bis di un concerto, come se fosse un regalo in più che volevamo fare al nostro pubblico, anche perché è una canzone che stiamo suonando molto dal vivo negli ultimi due anni, e spesso il pubblico ci chiedeva come mai non l’avessimo ancora incisa su disco. E quindi eccola. Altro motivo, non da poco, è perché non è una delle canzoni più famose di Lucio Dalla. Per quanto riguarda me e Petra, ma sicuramente anche chiunque interpreti canzoni di altri, un altro compito, a livello culturale, è quello di andare a scavare nel cassetto e rimettere in luce delle canzoni che spesso sono state dimenticate, come facemmo con “Il cammello e il dromedario” del Quartetto Cetra, e Felicità si inserisce in questo discorso. Sarebbe stato molto più facile fare “L’anno che verrà” o “Anna e Marco”, che conoscono veramente tutti.
P: Non volevamo fare una ghost track perché ormai non se ne può più, sono abusate. Allo stesso tempo non volevamo mettere una cover nel disco, tantomeno cover italiane. La scelta di mettere “Felicità” è stata innanzitutto perché è una canzone bellissima, che ci emoziona tantissimo e che suoniamo dal vivo già da un paio d’anni, e molta gente ci aveva già chiesto di avere su disco. A parte questo, ci dispiaceva lasciarla fuori. Anche se per noi il disco si chiude con “Cinema”, abbiamo deciso di includerla come se fosse un bis, una ciliegina sulla torta, un ammazzacaffè, un di più che fa parte di Musica Nuda, e ci è sembrata la cosa più giusta scriverlo, far sapere che c’era, ma farla arrivare dopo un po’di silenzio per goderne di più.
(Mario Mucedola)
Foto: Luca Quaia/Angelo Trani