Quando si ha a che fare con simili atti di terrorismo sonoro è sempre difficile capire dove finisce la sofisticatezza e comincia il gusto dell’orrido. Gli OvO sono italiani e fanno un rock d’avanguardia difficile da incasellare in una descrizione, un po’ come per tutto il rock d’avanguardia.
Per capire se vi piacciono l’unico modo è sparare a caso alcuni nomi di artisti che fanno roba simile, come: Zu, John Zorn, Morkobot, Lightning Bolt, Earth, Sunn O))), Mike Patton, Throbbing Gristle, John Cage, Atari Teenage Riot, Lou Reed in “Metal Machine Music”, Boredoms e Merzbow. Insomma tutti quei gruppi che fanno musica che funzionerebbe benissimo come colonna sonora per il film di Shinya Tsukamoto, “Tetsuo” (fra l’altro “musicato” da Chu Ishikawa, uno dei massimi esponenti e pionieri dell’industrial giapponese).
Se ancora non vi è suonato alcun campanello è il caso di partire dall’inizio: gli OvO fanno musica fastidiosa, terrificante, pruriginosa, rumorosa, caotica e deprimente. Semplicemente aliena a tutti i punti di riferimento tradizionali: anzi aliena e basta. Una musica che spesso è difficile chiamare musica nel senso classico del termine, ma in questo caso è bene tenere a mente una frase del famoso maestro Luciano Berio, compositore d’avanguardia di fama mondiale: “La musica è tutto ciò che si ascolta con l’intenzione di ascoltare musica”. Una volta appurato questo ci si può addentrare nel pastone sonico degli OvO con più consapevolezza.
Infatti, come in gran parte della musica di questo genere il fastidio e il tedio che genera spingono a riconsiderare la nostra normale concezione di “piacevolezza”. Questa musica non è fatta per essere piacevole bensì è un viaggio che serve a indagare la nostra anima quasi come una seduta di ipnosi dallo psichiatra: si consiglia di ascoltarlo ad occhi chiusi per quanto soffocante e nauseante potrà sembrarvi. É uno di quei dischi che quando la riproduzione si interrompe lasciano una persona diversa da quella che inizialmente ha messo su il disco. Quello che c’è stato di mezzo, fra il play e lo stop, è difficile da descivere. Cor Cordium, ovvero “cuore dei cuori”, è un viaggio psichedelico oscuro e conturbante: la voce della “cantante” Stefania Pedretti urla suoni sgangherati e gutturali in una lingua mostruosa e sub-umana, come se stesse facendo dei gargarismi con del magma, e con la sua chitarra scolpisce con lentezza e vigore un grezzo sfondo sonoro di granito mentre la batteria del suo compagno, Bruno Dorella, macina colpi su colpi, sempre secchi, aridi, precisi, senza il minimo orpello, come se si trattasse di una abominevole drum-machine di carne e sangue. Gli OvO cullano ferocemente l’ascoltatore nella cantilena spastica di “Marie”, lo terrorizzano con la macabra danza di “Nosferatu” e addirittura lo deridono con “Penumbra y caos”, pezzo in cui diversi tenebrosi ronzii elettrici si sovrappongono pigramente per sette minuti interminabili per poi esplodere in un caos demente durante gli ultimi 10 confusi secondi.
Insomma, se volete uscire dai binari e cominciare a provare qualcosa di stramboide e psicopatico, questo disco può essere un buon inizio.
A tal proposito c’è da dire che chi già è abbastanza avvezzo a questi trapianti di cuore senza anestesia musicali, non troverà in “Cor Cordium” nulla di veramente nuovo a parte un gusto abbastanza inusuale per il minimalismo, specie se confrontato con i dischi precedenti o altri dischi simili. La classica tendenza a “riempire le orecchie” e a far esplodere la testa di suoni di altri artisti simili qui è sapientemente evitata e un valore particolare assumono i silenzi e le pause: a volte assordanti e ammorbanti quasi quanto le cacofonie estreme. Di certo si può dire che questo non è un album troppo ostico poiché si ascolta comodamente dall’inizio alla fine tanto che, a tratti, risulta quasi gradevole (forse questo è uno degli insulti peggiori che si possono fare a una band del genere) e poi non scordiamo che sono in pochi a sperimentare così in Italia: tanto di cappello, dunque.
Insomma, una gaia musica da non mettere su alle feste manco per scherzo: farebbe scappare in lacrime tutti gli invitati; probabilmente inappropriata anche quando state prendendo il sole in spiaggia ma ottima, al contrario, per quei giorni in cui il mondo vi fa vomitare, il cielo è plumbeo, siete confusi e volete riflettere, guardare dentro voi stessi e scoprire come siete fatti nel profondo e per la precisione proprio nella valvola ileo-ciecale, ovvero quel punto che collega l’intestino tenue all’intestino crasso.
Bon voyage!
(Francesco De Paoli)
OvO live fragment
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