Sapete quelle classifiche che ogni tanto ci si fa quando non si ha null’altro a cui pensare? Bene. Tempo fa mi ero fatto la classifica dei concerti impossibili. Ovvero, quelli che avrei voluto ASSOLUTAMENTE vedere, ma che non avrei mai potuto. Al primo posto c’erano i Van Halen, al secondo i Joy Division, al terzo i CCCP. Ora, considerando che la reunion di Van Halen implicitamente era una raccolta fondi per il prossimo lifting di Eddie, e i Joy Division non torneranno più, puntavo tutto sugli emiliani. Perciò, quando ho saputo del ritorno di GioLindo, mi sono precipitato immediatamente all’Alpheus per vedere cosa restava del frontman più discusso della storia musicale italiana.
Da compagno, ferreo sostenitore dell’Unione Sovietica, a mistico dell’Occidente quando ha deciso di fare ritorno alle sue radici cattoliche. Una specie di Juri Camisasca più famoso. Giovanni Lindo Ferretti è una di quelle personalità che, al di là di tutte le scelte artistiche e personali, non può essere messo alla gogna, è da amare per quello che è, piaccia o meno. Torna a calcare i palchi dopo svariati anni d’assenza, in questo tour “A cuor contento”, nel quale ripropone un po’tutto il repertorio, dai CCCP ai CSI, passando per i PGR ed i dischi solisti, in compagnia di Ezio Bonicelli al violino e Luca Rossi alle chitarre. I due sono ex membri degli Üstmamò, band reggiana attiva negli anni ’90. Si comincia in un locale sold out, segno che è una di quelle che vengono chiamate “grandi occasioni” con Depressione Caspica, che vede il pubblico coinvolto già dalle prime note, ripetendo ossessivamente non ora non qui, no-o-on ora. Ferretti si presenta sul palco in una mise imbarazzante. Vestito da predicatore americano, con un giubbotto che persino le guardie cinesi di Mao si sarebbero rifiutate di indossare, e con un crocifisso al collo, perché i tempi sono cambiati. Fa quasi tenerezza, verrebbe voglia di salire sul palco ed abbracciarlo per rassicurarlo che su, è tutto finito. Ragion per cui passerò la serata a pensare che dovrebbero chiamarlo Topolindo. Si prosegue con “Narko’$”, seguita da “A tratti”, della quale Topolindo interpreta il finale quasi fosse un mantra, con il risultato di una specie di ipnosi nelle prime file, aiutate dalle luci frenetiche, che diventa un graffio nell’anima. Si placano le acque con “Cronaca montana” e “Cronaca di inverno”, brani contenuti all’interno di Ultime notizie di cronaca, album del 2009 che ha segnato lo scioglimento dei PGR. Poi, quasi per distrarre dal torpore che gli ultimi due brani hanno provocato, i tre attaccano “Morire”, tratta dall’album che ha, senza ombra di dubbio, rivoluzionato la musica “alternativa” italiana del XX secolo: Affinità-divergenze tra il Compagno Togliatti e noi. Si continua con “Cronaca filiale”, sempre dall’ultimo dei PGR, e poi si arriva ad un pezzo che, a mio modesto avviso, è tra i migliori che Topolindo, nel corso della sua carriera, abbia mai scritto. Si tratta di “Unità di produzione”, album tratto da quel gioiellino mai abbastanza considerato che fu Tabula Rasa Elettrificata, che il Consorzio Suonatori Indipendenti diede alla luce nel 1997. “Paxo de Jerusalem” passa quasi inosservata, seppellita dall’imponenza della delicatezza di “Annarella”, sulla quale – finalmente – si sente il pubblico cantare dall’inizio alla fine, canto che prosegue con “Del Mondo”, ma che si arresta bruscamente quando il signor Ferretti propone “Co.Dex” e “Contatto”, figlie del suo album di debutto come solista, che sicuramente in pochissimi possono vantarsi di avere a casa, e chi ce l’ha cerca di nasconderlo. Ritornano i PGR con “Cronaca del 2009”, uno dei pezzi più belli di quel disco, ed infine “Barbaro” a chiudere il capitolo. Dal palco non c’è altro se non sorrisi. Dimenticatevi i proclama, le introduzioni, si suona e basta, senza dire una parola. Quando rientrano sul palco,
i tre infilano altri cinque pezzi, un bis sostanzioso, ma meraviglioso. Si riparte con “Io e Tancredi”, pezzo che non può passare inosservato, con questa nuova veste. Una veste fatta di pochi suoni, che punta all’essenza dei pezzi, che altro non è che le parole di Ferretti, come quelle di “Occidente”, pezzo dei CSI, che riascoltata nel 2011 dà il senso della grandezza di questo artista, sembrava avesse previsto tutto già nel 1994, ed il pubblico sembra accorgersene e consegnare ad un ipotetico cahier de doléances l’ahiahiahi che accompagna il refrain del pezzo. Ma ad infierire ci pensa “Radio Kabul”, e ci si accorge di quanto attuali siano le parole dei CCCP, nonostante gli anni e i traviamenti del loro leader. Dal palco, i tre decidono che è abbastanza, e alleggeriscono il tutto con “M’importa ‘na sega”, per chiudere con “Per me lo so”, che fa saltare tutto l’Alpheus fino ad allora in religiosa (eheh) adorazione del trio sul palco, tra urla, un accenno di pogo, e la liberazione di chi ha ritrovato uno degli artisti più forti che la musica italiana abbia mai avuto: Giovanni “Topolindo” Ferretti.
(Mario Mucedola)
Foto: Luigi Orru