Questa recensione che non so fare, è per Vanni, che non sa leggere, o che molto probabilmente non ne ha mai letta una che non provenisse da quelle riviste in cui in una certa maniera ti obbligano al “bravo, bene, bis” a prescindere.
Tutto ciò per dire che gli Zu non sono proprio uno dei miei gruppi preferiti, di certo non conosco tutti i loro pezzi, eppure riconosco come nel loro progetto ci sia qualcosa di tremendamente interessante, coinvolgente, e nemmeno lontanamente assimilabile, per semplice analogia o per qualche logica, alle sonorità alle quali ho scelto di abituarmi.
Come forse molti di voi sapranno, questo è l’ultimo concerto del trio romano nella loro formazione originale: il batterista, Jacopo Battaglia ha annunciato di voler uscire dal progetto per entrare a far parte della formazione live dei Bloody Beetroots, con lo pseudonimo Battle. A chi immaginava un concerto di lacrimoni ed abbracci romantici, consiglio la visione del dvd “Ancora una notte insieme” dei Pooh.
Già, perché nonostante formalmente sia un concerto d’addio, gli Zu sembrano non volersi concedere neanche un minuto per le smancerie, attraverso un live sanguinario di fronte ad un Circolo degli Artisti davvero pieno! Non lo vedevo così dai tempi di gente che ha fatto agevolmente soldout, e a dire il vero la cosa non sorprende: dopo ben 14 dischi in 12 anni, gli Zu si sono ritagliati di diritto un posto d’onore nel panorama musicale, e sono seriamente intenzionati a difenderlo anche dopo l’uscita di Jacopo. Lo testimonia immediatamente Luca Mai, il sassofonista, che comincia il live da vero indemoniato, deciso a demolire le mura del posto che con ogni probabilità, più di tutti, rappresenta la musica alternativa della Capitale. Ma se si tratta di indebolire i timpani degli ascoltatori, gli altri due non sono da meno. Jacopo mette l’anima sulla batteria e Massimo, dall’alto del suo Jaydee, provoca terremoti. Giuro, non avevo mai sentito così tante vibrazioni in quella sala. Così tante che ad un certo punto boh. Si sentono dei rumori strani, che non facevano parte dei pezzi, e ci si accorge che l’amplificatore sta dando i numeri, costringendo Luca e Jacopo ad una serie di assoli di sax e batteria, per cercare di mascherare quello che in televisione chiamerebbero “il bello della diretta”. Passa una decina di minuti tra false partenze ed applausi, e ancora assoli e disturbi, tanto che sembra di stare ad un concerto dei Rammstein. Il tipo accanto a me commenterà con un sarcasmo poco convincente “Aò, me pensavo che stava ancora a sonà!”. Si riprende, con ancora più energia di prima, e vengono sciorinati “Beata
Viscera”, “Chtonian”, oltre a pezzi dei precedenti dischi, senza una parola, senza concedersi null’altro che note. Jacopo si fa coccolare dal suo pubblico prendendosi molteplici applausi scroscianti e pronunciando le uniche parole del concerto: “Non sembra, però vi amo”. Unica frase prima di introdurre “Epidurale”, un pezzo risalente addirittura a Bromio, loro album di debutto del 1999, per l’occasione riarrangiata. La batteria diventa un’arma di distruzione di massa, e qui c’è da fare un appunto al tecnico, ché probabilmente i volumi andavano tenuti leggermente più bassi, dato che in alcuni passaggi il suono impastava troppo. Come se stessero suonano voce e chitarra al Tendastrisce, per intenderci. Il finale è infuocato con “Carbon” e, finalmente, “Ostia”, il loro apice creativo. Neanche alla fine del concerto ci sarà spazio per le parole, com’è poi sempre stato nella carriera degli Zu, un particolare molto apprezzabile, che molte band dovrebbero tenere in considerazione. E, come loro insegnano, non c’è null’altro da dire stasera, se non che l’abbraccio del pubblico romano al batterista è stato quanto di più caloroso ci si potesse aspettare, in un crescendo d’intensità senza mezzi termini, senza fronzoli, senza mezzi toni di circostanza. Per tutto il resto rimando al live dei Pooh.
(Mario Mucedola)
Foto: Yuri Vazzola