L’intervista si è tenuta in due differenti giornate presso lo studio milanese di Lele Battista. Approfitto per ringraziare di cuore, la sua disponibilità e per avermi fatto conoscere alcune cose che prima non conoscevo. Con tutto il cuore gli auguro di ottenere sempre più consensi e successi. Ha tutte le carte in regola (citando Piero Ciampi) e sono certo che continuerà ad affascinarci con la sua musica. Di questi tempi, ne abbiamo bisogno.
Sono passati ormai quasi sei mesi dall’uscita del tuo secondo album, sei soddisfatto della reazione del pubblico sia a livello di vendite che di partecipazione ai tuoi concerti?
Sono molto soddisfatto della reazione del pubblico dal momento che il disco è stato accolto più positivamente rispetto al precedente. Credo di essermi ritagliato negli anni un piccolo spazio tutto mio, ho la fortuna e sfortuna di non essere mai stato inquadrato in un filone ben preciso. A causa di questo sono stato più volte oggetto di critiche da parte di alcuni discografici che lo hanno sempre considerato un limite, invece io l’ho sempre considerata una cosa che potesse giocare a mio vantaggio. Mi ha stupito l’intelligenza delle persone di sentirsi così vicine alla mia persona ed al mio progetto e questo mi fa molto piacere. Chiaramente vorrei allargare il mio pubblico sia sul versante della musica “indie” sia in quello “mainstream”, ho però molte difficoltà in questo senso e lavoro per conquistare fan, uno alla volta, concerto per concerto. Solitamente quando un ascoltatore è attento ed ha voglia di entrare nel mio mondo, ne rimane piacevolmente colpito ed in qualche modo si affeziona. Sono certo di non aver perso fans dal disco precedente, anzi ne ho guadagnato qualcuno. Sono passato dall’essere considerato l’ex cantante dei La Sintesi, ad avere una mia identità più definita. Sono perennemente insoddisfatto, invece, dal fatto che sono quasi 15 anni che pubblico dischi e se non avessi affiancato il lavoro di produttore ed arrangiatore a quello di autore e cantautore, non potrei vivere di musica. Da una parte mi piace molto quello che faccio: produrre, entrare nei progetti degli altri e sentirli un pò miei e questo mi permette di acquisire esperienza e lavorare a tempo pieno con la musica. Dall’altra l’attività di produttore, mi “svuota” molto, nel senso che in tutte le cose io ci metto me stesso: però credo molto nella condivisione e quindi anche questo mi fa piacere. Purtroppo il mio progetto fa molta fatica ad “uscire”, mi ritengo comunque fortunato ad avere attorno persone che ci credono molto, a partire proprio dal mio pubblico. Ho la sensazione di aver trovato la mia strada nel continuare a fare dischi di una certa qualità.
Ci vuoi raccontare com’è nata la scelta del titolo dell’album? (Nuove esperienze sul vuoto, ndr)
Il 5 Giugno del 2009 è stato il giorno in cui ho inciso l’ultima canzone del disco (“il mio punto debole”) ed in quel giorno ho raggiunto un picco di felicità elevato perchè oltre ad essere riuscito ad incidere un pezzo al quale era molto che lavoravo, ho avuto la sensazione e la certezza che l’album fosse completo. Cerco sempre la coerenza negli album e quindi avevo la sensazione che questo disco doveva parlare del “vuoto”, questa parola che tornava spesso nei testi con vari significati a seconda del brano. Ricordo di essere tornato a casa con una gioia infinita nel cuore data sia dal fatto che avevo scritto una canzone, cosa che mi mette sempre in pace con me stesso, ed anche che la visione dell’insieme si stava chiudendo. Stavamo lavorando su 18 brani ma poi ne abbiamo scelti solo 12 perchè avevano caratteristiche comuni e percepivamo che potessero stare bene insieme. A questa gioia però è seguito un trauma quando tornando a casa abbiamo scoperto che il mio gatto, al quale io e la mia compagna eravamo molto affezionati, si era buttato dal quinto piano della mia abitazione. Dopo circa due giorni mi è tornato alla mente un libro di geometria di Blaise Pascal che non è mai più stato stampato e che avevo trovato leggendo la sua biografia. Si tratta di un trattato giovanile mai diventato famoso perchè nel frattempo la geometria si è evoluta ed ha reso non più valide le teorie che aveva scritto. Mi ha colpito come il “vuoto” tornasse: nell’avvenimento della morte del gatto (di nome Bodo), ma anche nella mia paura di volare o semplicemente ad affacciarmi al balcone. D’altra parte sono sempre stato attratto dal concetto di “vuoto” a livello mentale, ho provato ad analizzarlo non come senso drammatico del termine, ma ad intedenderlo come una ricerca di pace di contemplazione del pensiero puro, tipicamente orientale. Gli orientali hanno questa concezione del vuoto come spazio da riempire e non come mancanza
Rispetto al tuo precedente lavoro “Le Ombre”, mi sembra un album più positivo nei temi e nella musica. Quanto sei cambiato rispetto a quel periodo?
C’è stato un cambiamento profondo in me che, in realtà, è iniziato prima del precedente album e che forse si sente maggiormente in questo. Dal mio punto di vista si percepiva anche nel disco precedente e quindi ho una visione più positiva e rilassata dall’amore, prima di tutto. Ad esempio, il brano migliore che ho scritto sotto questo aspetto rimane “Tutto strappato” che è un brano di innamoramento, di positività e di leggerezza. Ho avuto un grosso cambiamento: ho iniziato ad accettare i miei limiti e mi sono reso conto che vale la pena essere sempre se stessi. Come dico nella canzone “In parte me”, non esiste l’essere sempre qualcun altro, è un’illusione, una svalutazione di noi stessi. Abbiamo spesso la sensazione di essere qualcun altro, ma questo ci dovrebbe far dedurre che noi siamo sempre “in parte noi stessi”. La svolta maggiore è stata incontrare la mia compagna ed avere una visione migliore riguardo a tutte le cose. Ho sempre scritto canzoni che parlavano di disillusione, di storie d’amore che finivano. Ora ho imparato a focalizzare nel modo migliore la bellezza delle cose e dei sentimenti puri. Non sono affatto un buonista, rimango sempre una persona analitica e contorta nel mio modo di ragionare, ma prendo tutto come se fosse un percorso necessario. Sono convinto, ad esempio, di non dover essere triste per scrivere una canzone ma piuttosto mi piace che le cose succedano e che io abbia la possibilità di raccontarle, a mio modo. Io non percepisco una grossa differenza dal disco precedente proprio perchè sono cosciente del fatto che entrambi sono un pò un reportage di un modo diverso di affrontare la vita. Forse la differenza sta nell’aver lavorato insieme a Giorgio Mastrocola, con l’obbiettivo di renderlo il più possibile piacevole all’ascolto. Quindi la differenza reale si trova nella concezione diversa del suono. Nel disco precedente c’erano 3 pezzi incisi da Celso Valli con l’orchestra a Bologna, mentre gli altri erano stati prodotti qui a Milano da noi. In questo il suono è molto più coerente grazie all’utilizzo degli stessi musicisti e dello stesso studio.
Da cosa deriva la scelta di suonare solo in duo con Giorgio Mastrocola e non con una band intera?
Innanzitutto è una scelta che deriva dal fatto che con il precedente disco abbiamo cercato di suonare con una band formata da musicisti che hanno lavorato solo in qualche pezzo. Ma tutto ciò non era semplice perchè ci trovavamo sempre a suonare in situazioni dove potevamo suonare solo in due, in acustico. Per questo inizialmente, ci siamo adattati ad avere due tipi di spettacolo. Più passava il tempo, pur divertendomi molto a suonare con una band, ci rendevamo conto che tra me e Giorgio c’era più affinità e feeling che ormai era frutto dal fatto che io e lui suoniamo insieme da 20 anni. La band che ha lavorato nel tuor de “Le Ombre” è stata portata in studio proprio per cogliere questo legame ed il feeling che si era creato durante i concerti. Quando ci siamo trovati a preparare il live relativo a questo disco, abbiamo pensato inizialmente di lasciare a casa la band, con la speranza di riprendere in un futuro, come se fosse un punto d’arrivo. L’album è nato con le batterie interamente programmate al computer da me, ed il batterista ha suonato imitando le basi. Per cui mi erano rimaste queste programmazioni midi, abbiamo assegnato dei suoni puramente elettronci e le ho unite con i suoni dell’album. Questo per fare in modo che nei concerti si senta l’utilizzo della batteria elettronica insieme a due musicisti che suonano. Un pò come faceva Billy Corgan nel tour di “The Future Embrace”.
Com’è nata la collaborazione con Mauro Ermanno Giovanardi?
Intanto io ero un grande fan dei La Crus, li seguivo già dal primo album. Mi ha sempre colpito questa sorta di Nick Cave italiano. Rappresentavano un filone dark-wave anni 80 che mi ha sempre affascinato tantissimo. Ho avuto la fortuna di conoscerli e di frequentarli perchè per un certo periodo incidevamo per la stessa etichetta (Mescal). Dopo la collaborazione nel disco degli Ariadineve, io e Giò abbiamo iniziato a frequentarci più assiduamente, abbiamo fatto delle registrazioni di alcuni suoi provini che ci davano la possibilità di vederci e di conoscerci meglio. Una sera mi ha invitato a cantare con lui al Tambourine e mi sono accorto che lui tra un brano e l’altro, inframezzava le canzoni con delle poesie recitate da lui. Aggiungeva questa componente teatrale allo spettacolo e quindi mi è venuta subito la voglia di duettare con lui. É una delle voci più belle che abbiamo in Italia e quindi è cresciuto il desiderio di sfruttarlo nel mio album. É nata questa cosa particolare, per cui ho pensato a lui per quella parte recitata sul finale della canzone che inizialmente avrei voluto fare io: rappresentava una sfida bellissima. Il fatto che ci fosse questo brano dall’atmosfera assurda, che a metà cambiava totalmente, lo rendeva un bell’azzardo per quanto mi riguarda. Mi affascinava l’idea di questo reading che deriva dalla precedente esperienza nella produzione del disco dei Controluce, nel quale spesso l’utilizzo del parlato si sente spesso. Poi ho pensato che sarebbe stato bello e paradossale coinvolgere Giò senza farlo cantare. Quasi un peccato, ma d’altra parte una sfida interessante. A posteriori mi sono accorto che ha dato un valore aggiunto all’album: lui si è immerso nel ruolo proprio come se fosse un attore, mentre io l’avrei fatto in un modo molto più pacato. Ricordo che quando l’abbiamo registrato, ad un certo punto era talmente preso dalla recitazione che si era allontanato dal microfono senza rendersene conto. Alla fine l’effetto era geniale, perchè dava proprio l’effetto di allontanamento naturale e per questa ragione abbiamo mantenuto il take originale
Giò duetta con te nella canzone “Attento” che contiene una citazione di Paul Valéry. Quali altre letture ti hanno ispirato?
Sicuramente ci sono tantissimi scrittori ma ovviamente molte cose ispirano un disco. Dall’aperitivo con gli amici, a riflessioni estemporanee o magari riflessioni che nascono da questa intervista. In quel caso ho preferito citare Paul Valéry, rielaborandolo con delle frasi mie perchè rendeva perfettamente l’idea di stacco che c’è in questo pezzo, con una prima parte drammatica e profonda quasi claustrofobica, per poi aprirsi durante la canzone. Trovavo quindi perfette queste parole che avevo letto e questo invito a rendere tutto più leggero a smorzare ogni sentimento e scherzare sempre. Questo per dare l’idea di uno stacco improvviso sia nella musica che nel testo stesso ed ho trovato queste parole perfette. Ho sempre un approccio filosofico nella stesura dei testi e cerco sempre di esprimere dei concetti. Mi piace sempre di più scrivere non quando provo una particolare emozione, ma sempre dopo: vivere l’emozione, capire cosa ti lascia e poi raccontarla quasi in maniera distaccata cercando sempre quell’equilibrio tra il dramma, il racconto ed il distacco. Non mi piacciono le canzoni forzatamente drammatiche, dove l’autore ti “butta” addosso la sua sofferenza o la sua gioia. Mi capita anche di scrivere canzoni di questo genere però preferisco quelle in cui si trasmette un pò di filosofia e di “pensiero”. Da molti questo viene considerato un limite. Alla canzone non viene dato di essere un ragionamento però potrebbe essere un’interessante sfida. Ad esempio sono affezionatissimo al Pierrot Lunaire di Schönberg che è chiaramente un azzardo musicale. É una cosa al limite dell’inascoltabile, però mi affascina il concetto. In parte è il difetto del Novecento intero, quello di sradicare il concetto del “bello”. Mi affascina che con i moderni software, una persona anche se non propriamente un musicista possa fare della musica. Sono un fan della coppia Battisti-Panella perchè amo questo modo di buttare via il suo passato. Il coraggio di passare dalla musica acustica con Mogol a quella elettronica che lo portava a dire “canto solo quello che non capisco”.
David Bowie ha inciso un album ispirandosi a 1984 di Orwell e Faber a Edgar Lee Masters. Se ti proponessero la possibilità di incidere una album ispirandoti ad un libro in particolare, cosa sceglieresti?
Partendo dal presupposto che ho molti libri che mi affascinano, mi piacerebbe molto l’idea di musicare “Il mestiere di vivere” di Cesare Pavese. Anche se, mi piacerebbe di più, l’idea di “entrare” in un libro e di riuscire a rendere musicalmente l’atmosfera che esso contiene. Ad esempio Pasternak, descrive San Pietroburgo d’inverno con la neve, la carrozza e luci basse. A quel punto mi piacerebbe fare una colonna sonora per dare la sensazione all’ascoltatore di trovarsi in quella situazione. Un libro di cui si ha un rispetto totale diventa quasi intoccabile, per cui preferirei lavorare come fosse una colonna sonora, musicare un’atmosfera più che un concetto. Lavorando tutto il giorno in uno studio, alla sera sono quasi saturo di musica, quindi cerco di non ascoltarla. Ne sono comunque dipendente, quando sono a casa non posso fare a meno di ascoltarla.
Parlando di musica, cosa ascolti ultimamente?
Ultimamente ascolto della musica “strana” che mi possa ispirare, quindi poco i cantautori ma cose più interessanti a livello di suono come Arcade Fire o i Dead Man’s Bones, che mi è stato molto utile per produrre il nuovo disco di Yuri Beretta. Hanno questa sonorità Lo-Fi, sempre con un coro di bambini che rende tutto un pò angelico con strumenti registrati volutamente “male”. Mi affascinano le cose che non capisco come siano state realizzate e dove è percepibile l’estrema libertà nel concepirle, ad esempio l’ultimo disco di David Sylvian, trovo che sia un capolavoro proprio per questo: cose che non sono mai totalmente “pop” o totalmente “estreme” o se dovessero esserle, lo sono in modo totale. Per questo non mi stancherò mai di ascoltare la musica classica contemporanea perchè per me ha una componente di provocazione e distruzione dell’armonia che è molto interessante. Visto che siamo arrivati ad un punto che chiunque, con un software, può fare una musica convenzionale, mi piacciono le cose fuori tempo, nonostante io ritenga di essere un “maniaco” della precisione. Ho passato anni della mia vita a risuonare le cose fino a quando erano ad una precisione maniacale di tempo, adesso invece, penso che la bellezza e l’innovazione risiedano nei momenti di caos. Uno dei miei dischi preferiti in assoluto, Outside di David Bowie, è stato registrato a Mountreaux (dove i Bluvertigo mixarono il loro ultimo album ed i Queen registrarono i loro ultimi lavori) con dei session-man bravissimi, mentre Bowie che dipingeva e Brian Eno che ascoltava il tutto. La filosofia era basata sulla totale improvvisazione di ogni singolo musicista. La genialità di Brian Eno lo ha portato a registrare solo le parti di improvvisazione, quando i musicisti “impazzivano” e non seguivano gli altri. Ora mia piace molto suonare l’elettronica fuori tempo proprio perchè risulta essere un paradosso.
Come sono nati e perchè si sono sciolti i La Sintesi?
Tutti e quattro vivevamo nello stesso stabile e quindi ci siamo conosciuti giocando a pallone in cortile. Io e Giorgio Mastrocola inizialmente ci siamo trovati a suonare estemporaneamente perchè lui aveva iniziato a seguire dei corsi di chitarra classica e io di pianoforte. Poi, sempre nel nostro gruppo di amici, c’era Michelino Sabella che non sapeva suonare la batteria però aveva la possibilità di avere una sala prove. Pur non sapendo farlo ha imparato in un mese: aveva un talento pazzesco. Inizialmente Giorgio era sia il cantante che il chitarrista della band e cantava pezzi scritti da lui. Successivamente, ho iniziato anch’io a scrivere sempre più pezzi e a proporli. Abbiamo provato ad allargare la formazione, prendendo un bassista ed un altro chitarrista, ma sono stati allontanati subito per divergenze musicali. Per noi è stato molto importante la collaborazione con Giuseppe Sabella (fratello di Michelino) al basso: soprattutto per il fatto che aveva suonato ne “La Buona onda”, una band che noi tutti adoravamo e che è stata molto importante per la mia crescita artistica. Era davvero una band grandissima, purtroppo non è rimasta alcuna testimonianza ma ha influenzato tantissimo la scena “underground milanese” di quei tempi. Ad uno dei tanti concorsi a cui abbiamo partecipato, abbiamo conosciuto Morgan perchè lui era in giuria: ne è nata un’amicizia e collaborazione che si è concretizzata con la produzione del nostro primo lavoro. Fu un’esperienza bellissima perchè lui ci trasformò da un semplice “gruppettino” in una band in grado di registrare un disco. Ricordo i momenti in cui frequentavo spesso Monza con Luca Urbani e Morgan ed era un periodo molto “vivo” a livello culturale, con molti stimoli e bellezza nel comunicare. Con il secondo album andammo a Sanremo: grandi erano le nostre aspettative e quelle della nostra casa discografica, pensavamo forse troppo positivamente che questa esperienza sarebbe stato il nostro definitivo trampolino di lancio. Così non fu. Dopo l’eliminazione da Sanremo è seguita una fase di depressione acuta, siamo stati “scaricati” dalla Sony, passando dall’essere “next best thing”, all’essere totalmente dimenticati. Io ho superato abbastanza in fretta quella fase, iniziando a scrivere i brani che sono finiti nel mio primo disco ed a proporli senza trovare particolare entusiasmo negli altri, con la sola esclusione di Giorgio che ha capito da subito l’importanza del nuovo progetto. Per questa ragione io e e Giorgio abbiamo deciso di staccarci e di percorrere strade diverse. Chiaramente il gruppo mi manca tantissimo, però al tempo mi è sembrata una soluzione inevitabile.
Visto che lo hai nominato (Morgan, ndr), la domanda è inevitabile. Com’è stato lavorare con lui e dal tuo punto di vista quanto è cambiato da allora?
Se devo dire la verità a me non sembra che lui sia cambiato tantissimo. Ha le stesse caratteristiche dell’artista che io ho conosciuto 15 anni fa. É sempre stato un grande provocatore a livello musicale, molto “avanti” rispetto agli altri; É innegabile che si tratta di una persona che ha fatto della propria vita un’arte. Vive continuamente alla ricerca di qualcosa di nuovo. Per questo nella fase iniziale dei suoi lavori non viene capito come si dovrebbe se non appunto da un pubblico particolarmente attento. Indubbiamente farà altri dischi che faranno discutere, che ad alcuni non piaceranno e che faranno impazzire altri. Mi ha fatto ascoltare della musica, ultimamente, completamente “assurda” che nessuno sarebbe in grado di fare in questo momento in Italia. Parlavamo l’altro giorno con Gaetano Kappa, di come lui abbia scelto i musicisti per fare “Invece no” (programma televisivo condotto da Morgan su Deejay Tv), in maniera molto oculata. Lui non voleva una band e per questo ha scelto tre persone diverse che si compensavano tra loro. Credo abbia una visione molto profetica delle cose e questo l’ho sempre visto da quando ho iniziato a lavorare con lui. Chiaramente è cambiato nell’estetica delle cose: è passato dall’elettronica alla musica cantautoriale riuscendo a stupire ogni volta che lo si ascolta. Questa sua idea del non voler provare prima dei concerti, deriva dalla sua convinzione che non provando il pezzo che alla fine si ottenga un risultato migliore. Il suo continuo ribaltare delle regole mi affascina. In un mondo in cui tutto è prevedibile, in cui non facciamo che ripetere che tutto è gia stato fatto, un atteggiamento del genere immediatamente sconvolge tutto. Lui in questo momento è il Carmelo Bene della musica, colui che non fa altro che scardinare le convinzioni degli altri.
Invece No è stato un programma quasi del tutto innovativo, perchè hanno deciso di toglierlo dal palinsesto di Deejay Tv?
Marco in quelle situazioni non può far altro che entrarci da protagonista e da regista. Mi ricordo che nella trasmissione c’era un “consulente musicale”, figura inopportuna vista la presenza di Morgan. Questo rapporto conflittuale con la televisione e con la sua struttura, era sempre più evidente. Ad esempio ricordo la puntata con ospite Edoardo Bennato. Registriamo un pezzo, magari non venuto benissimo, ma comunque emozionante nel pieno spirito della trasmissione nel quale era l’improvvisazione ad avere il suo ruolo. Il regista inspiegabilmente chiede di rifare nuovamente il brano con il totale diniego di Morgan. Per questa ragione, si tolse la giacca e risuonò il pezzo in maglietta per non dare la possibilità al regista di montare le sequenze. Inoltre aveva un modo assolutamente anarchico di gestire la trasmissione, facendo tutto il contrario di quello che gli veniva chiesto. Nonostante questo nel giro di un’ora e mezza lui riusciva a finire tutto. Fossimo stati ai tempi della televisione dove ogni volta eri costretto a rifare i pezzi, sarebbe diventato molto più macchinoso ed artefatto. A loro è mancato il coraggio di appoggiare totalmente il progetto, nonostante la reazione del pubblico è sempre stata positiva.
È uscito da poco, l’esordio discografico dei Versus, con una canzone scritta da te nella quale è presente un cameo del Maestro Battiato. Com’è nata la collaborazione e cosa hai provato quando uno dei più grandi geni musicali di tutti i tempi ha cantato una tua canzone?
Battiato, intanto è una persona di grande umiltà e molto generosa. Non è snob verso i nuovi progetti, anzi cerca di essere molto aperto verso nuove collaborazioni. Lui e Megahertz si sono conosciuti e frequentati più volte, quindi hanno avuto la possibilità di parlare di questo progetto. Il pezzo è nato diversi anni fa e fu scartato dalla scorsa edizione di Sanremo, quando ogni band emergente doveva essere accompagnata da un’artista importante. In quel caso fu scelto Battiato. Ricordo che Megahertz registrava le conversazioni con Battiato su Skype e poi mi mandava il file con i suoi consigli per aiutarmi a migliorare la canzone. Quando lui accettò di partecipare come “cameo” nella canzone, gli mandammo tramite mail a mezzanotte la base in formato MP3. La rimandò il giorno dopo alle 7 di mattina, in formato 128kb, un file stereo con tutti gli effetti già registrati, poi mantenuti nella versione originale.
Stai già scrivendo nuovi pezzi?
É una cosa a cui penso quotidianamente e prima dell’uscita di ogni album c’è sempre una fase in cui si tende a sperimentare. Ho scritto dei brani, alcuni molto strani e molto diversi tra loro. Alcuni di questi li trovo molto affascinanti ed anche innovativi rispetto alle cose che faccio. Ho una grande necessità di non far passare altri 4 anni prima di far uscire un altro album proprio perchè sento la necessità di lavorare nel modo più spontaneo possibile. Nella mia testa l’album ha già cambiato forma 4 volte nel giro di due mesi. Il fatto che questo disco sia piaciuto mi stimola a continuare per la mia strada e non aver paura di essere me stesso. Ad esempio sto lavorando molto con l’elettronica che nel precedente disco è del tutto assente ed è frutto dei nostri live nei quali viene usata molto. Per questo sto usando molto il programma “Ableton Live” che solitamente viene utilizzato dai deejay nei loro live. Lo utilizzo però in modo alternativo, ovvero tentando di fare dell’elettronica fuori tempo. É una cosa che mi serve più che altro per scrivere, utilizzo tutti nuovi programmi e strumenti come spunto per creare nuovi pezzi.
Chiudiamo con una domanda inevitabile: cosa pensi della recente chiusura di alcuni importanti locali milanesi?
É una situazione sicuramente preoccupante. Sono anni ormai che la crisi ha colpito la musica. Sono un esempio, le tantissime persone licenziate dalle case discografiche, ormai in crisi dopo la nascita di internet e della condivisione gratuita degli album. Dopo quello che sta accadendo in questi giorni, quello che mi ha colpito positivamente è stata finalmente la presa di posizione e l’unione di molti artisti. Il resto della storia che riguarda l’ultima domanda lo sapremo solo in futuro. É bello sperare in una prossima intervista.
(Cristian Zaffaroni)