Confesso la mia preoccupazione nell’accingermi ad ascoltare il sesto album di inediti della band torinese. Questo soprattutto conoscendo già i primi due singoli da esso estratti: “Eden”, che dà il titolo all’album e soprattutto “Istrice”. Se la prima canzone può crescere dopo svariati ascolti, con il suo arrangiamento che ricorda da vicino le sonorità tipiche di band come gli XX, la seconda è quanto di più banale abbia prodotto la band.
Se l’incedere ha ormai il marchio tipico dei Subsonica, il testo invece è assolutamente da dimenticare e solo il ritornello merita di essere ricordato: “Chissà chi pungerai, chi ti farà piangere, chi ti addormenterà”. Sui vari siti di musica, all’uscita dei due brani, sono iniziate le prime critiche: c’era chi addirittura parlava già di una parabola ormai discendente e di una band che aveva finito di dire cose importanti. Ascoltando l’album, mixato interamente da Celeste Frigo, sono invece felice nel constatare che non è così. É molto più “pop” rispetto ai precedenti, con canzoni che pur nella loro diversità risultano essere molto omogenee e coerenti. Se i primi due singoli già citati non brillano certo di spunti creativi, la violenza di “Benzina Ogoshi” è la prova assoluta che la band ha ancora molte cose da dire. Un pezzo dalle sonorità quasi industrial, nato per rispondere ironicamente, a modo loro, alle critiche di chi li accusava di non essere più in grado di incidere album memorabili come i primi lavori: “Non siete riusciti a bissare Microchip Emozionale”, come recita con ossessione il ritornello. Il resto del testo è stato scritto con il contributo dei fan i quali, tramite il forum ufficiale, hanno inviato svariate frasi, tutte ovviamente incentrate sul “Non sei riuscito…”. “Prodotto interno lurido” e “Il Diluvio” sono altri due pezzi molto veloci, che sicuramente dal vivo, infuocheranno le platee. La prima, marcatamente drum and bass, e la seconda con un sound molto elettronico, che potrebbe vagamente ricordare “Rollin’ & Scratchin'” dei Daft Punk. Eden è un album dalle diversificate sonorità; “Serpente” ricorda da vicino quelle tipiche degli Africa Unite, oppure il dubstep di “Tra gli Dei”, mentre “La funzione” riprende la stessa formula che ha reso famosa “Nuova ossessione”. Un pezzo elettronico molto veloce, con una linea vocale ed un ritornello facilmente canticchiabili e se precedentemente gli ospiti erano i Krisma, qui invece sono ci sono Righeira a fornire il loro contributo. Ovviamente c’è spazio anche per pezzi molto più intimi come “Quando”, che presenta il testo più bello dell’intero album: “Quando avrai inverni così da proteggere, quando avrai silenzi così da proteggere”. E via fino alla conclusiva “L’Angelo”.
In conclusione è un album che, come nelle migliori tradizioni, sta già dividendo critica e fan. Da una parte chi lo osanna o dall’altra chi sostiene sia la fine artistica della band. Di sicuro necessita di diversi ascolti per essere pienamente compreso ed apprezzato, perchè pur essendo molto più “pop” rispetto ai precedenti lavori, non è sicuramente un lavoro molto immediato. Per quanto mi riguarda, non ci troviamo davanti al loro lavoro migliore ma la genialità, la coerenza e la classe di una delle più importanti band italiane degli ultimi anni, rimane intatta. Nel bene e nel male continuano a stupire. E di questi tempi, scusate se è poco.
(Cristian Zaffaroni)
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Ci sono gruppi che sanno quando togliersi dai coglioni (cit.), come ad esempio i White Stripes, o anche Phil Collins, che ha adottato la saggia scelta di ritirarsi prima di crogiolarsi nelle sue banalità, e invece ci sono gruppi che, forti di uno zoccolo duro di fan, continuano imperterriti a proporsi sul mercato, a volte con ottimi risultati, a volte con emerite cagate.
Considerate che io sono stato sempre innamorato dei Subsonica, i quali almeno per dieci anni precisi sono stati il mio gruppo di riferimento, ed anche quando si facevano largo realtà più recenti e parimenti entusiasmanti, loro erano il faro, il gruppo musicale che mi ha cresciuto e formato, che mi parlava sempre di quello di cui avevo bisogno, che sapeva sempre come farmi uscire dai momenti bui, grazie ad una costruzione linguistica degna di rientrare nei manuali di bella scrittura, con dei testi da analizzare negli esami di maturità, e mi riferisco a “Preso Blu”, “Tutti i miei sbagli”, “Il cielo su Torino”, “Albascura” (non in prima battuta, ma lì dentro c’è l’essenza della persona più importante per me) “Nuvole Rapide”, “Dentro i miei vuoti”, ma pure “Abitudine”, “Corpo a Corpo”, “Veleno”. Signori testi insomma, accompagnati da trame musicali sempre più complesse ed intricate, che partivano da una cassa in quattro e finivano dritte sotto pelle, sommata all’immensa coglionaggine di quei cinque tipi, che li rendeva ancora più adorabili. Solo che poi d’improvviso, con la maturità, l’essere scherzoso si è tramutato in spocchiosità e superbia, che ha fatto in modo che loro perdessero totalmente il controllo del progetto Subsonica, e di quello che significava e significa, ad appannaggio di un passaggio in più sulle reti musicali. Loro ci scherzano su, ad esempio in “Benzina Ogoshi”, il cui refrain ripete “non siete riusciti a bissare Microchip Emozionale”, senza rendersi conto che nessuno gli aveva mai chiesto una cosa del genere. Subsonica, Microchip, Amorematico, Terrestre, L’Eclissi sono tutti album profondamente diversi tra loro, ed andavano bene così perché a fare da collante c’erano i due elementi di cui sopra: parole elevate eppure comprensibilissime a tutti, suoni da brivido. Adesso, arrivati al sesto disco di inediti, restano solo i brividi, come quando ti accorgi di aver perso qualcosa di importante. Non appena si sparse la voce che sarebbero tornati, c’era grande gioia in casa Bonetti, e triccheballacche vari, trenini al grido di “eeeeeh meo amigo charlie“. Poi mettono in free download “Eden”, e con la donna sulle gambe ci accingiamo ad ascoltarla. “Eden sala danze domenica aperto”. Ricordo come gli sguardi fossero tra l’acquetta che ti viene in bocca prima di vomitare e l’incredulo. Non può essere che quelli di “Canenero” adesso diventino dei disincantati cantori dell’amore sulla soglia dei 40 anni, che infilano due-tre parole a cazzo, giusto per mantenere un briciolo di coerenza. Però vabbè, neanche quando uscì La Glaciazione mi fece una grande impressione, alla fine è normale. Ci dicevamo. Poi venne “Istrice”, e le sue atmosfere in bilico tra il Nek più progressive e la Giusy Ferreri con gli arrangiamenti più cazzuti. E l’ipotesi diventa una probabilità alta: questo disco farà cagare. E ora passerò per quello cattivo, ma ditemi sinceramente se una frase come “Quel bacio alcolico, rossetto e guai” ve l’aspettavate di più dai Subsonica o da Vasco Rossi. E non basta certo un wah wah per raddrizzare un pezzo storto come una banana. Ma le delizie non si fermano, e decidono di far uscire un nuovo singolo: “Il diluvio”. Cominciando ad abituarsi allo schifo, questo pezzo risulta anche gradevole, quantomeno si sente il Ninja che fa quello che sa fare meglio di tutto: violentare la batteria rimanendo impassibile. “Una festa infestava la mia testa, mentre lei rotolava nella cesta della rivoluzione.” Va bene, ma si ripresenti al prossimo appello. “Quando” fa da sottofondo ad un cortometraggio, “Cuore di clown” di Paolo Zucca, e ringrazio chi di dovere per non avermi dato la passione del cinema, altrimenti l’avrei già visto, e poi sarei corso ad abbracciare la tazza del cesso per esprimere il mio apprezzamento per la colonna sonora. “No! Se vorrai, sarò no! Più di un attimo no! E poi resterò no! al risveglio”. Come direbbe Ziliani, ectoplasma. Pochissimi giorni prima dell’uscita del disco, infine, si presentano con “Prodotto Interno Lurido”, titolo sicuramente suggerito loro da Mogol, il Gran Mogol, che finisce con l’essere un ritratto amaro dell’Italia, amaro per chi ascolta ovviamente, abituato a CAPOLAVORI come “Preso Blu” e “Gente Tranquilla”, giusto per citare i primi due titoli che mi vengono in mente con argomento il Belpaese. Potrete notare anche voi la differenza tra il prima e il dopo la cura, solo che in questi casi, nonostante i centri Sobrino ci campino da vent’anni con ‘sta storia, era meglio il primo. Quindi abbiamo visto come prima dell’uscita fisica del cd, c’erano già sei brani su dodici in circolazione. Sei brani che fanno venire tanta nostalgia dei bambini di Io Canto, almeno loro avranno tempo per crescere. Poi vien fuori il cd, e ci aspettano altri sei brani. Allacciate la cintura e avvicinate un secchio a voi. Ve la ricordate “Sbucciami”, il capolavoro di Malgioglio, che dal 1979 ad oggi non smette di far discutere e di creare addicted? Bene, la ritroviamo a distanza di 32 anni nel nuovo disco dei Subsonica, si chiama “Serpente” e con il suo incedere che vorrebbe essere ipnotico, ma dagli effetti sembra più che altro di aver ingerito un quintale di fermenti lattici, recita: “Vuoi sbucciare la tua colpa dai, morbido è il frutto, sai“. Poi dice che uno si abbandona ad allusioni e volgarità. “Sul sole” è un pezzo che mi fa rabbia, perché va a finire che mi piace, e non mi va di massacrare l’unico pezzo ascoltabile. Ovviamente non è una canzone da Subsonica, l’avrei vista meglio cantata da grandi artisti quali Pago, i Paps’n’Skar, Carlotta, ma considerando il livello attuale uno deve pure accontentarsi, eccheccazzo! Vorrei che ascoltaste l’intro di “Tra gli Dei”, per farvi capire le cadute di stile di Samuel, Boosta, Vicio, Ninja e Max. Un pezzo che comincia con “OH! AH!” tipo gli ultimi featuring di Pitbull, e prosegue con il doubling della voce di Samuel vocoderizzata e resa come quella dei bambini. Ridicoli ma divertenti, se questa canzone diventasse un singolo, potrebbero venderla tranquillamente in farmacia tra i Guttalax e i Pursennid, e farebbe un successone. Poi però arriva un pezzo che uno lo ascolta e dice “porca puttana”: “La funzione” (feat. Righeira), col fascino degli anni ’80 più sintetici e tasti eristici. Da salvare, o quantomeno non da stroncare totalmente. Che siano ancora recuperabili? Lo scopriremo solo passando alla prossima traccia, “L’Angelo”, che uno già si immagina storie di neve, facciamo all’ammmore, ritorna da me. E invece è sostanzialmente una mattonata nelle palle, con quei gridolini in falsetto che tanto ci fanno rimpiangere Giuliano Sangiorgi, che la medicina lo abbia in gloria, anche se l’arrangiamento merita, è interessante, forse perché dura poco.
Il disco si chiude con “Subvolley”, l’inno scritto appunto dai 5 torinesi per i mondiali di pallavolo, tenutisi in Italia nel 2010, quasi a voler essere la caramellina che addolcisce il male grande, è infatti un pezzo di quelli che ricordano i gran bei vecchi tempi, quando ai concerti dei Subsonica si andava per ballare, e la cosa più preoccupante è proprio la direzione che prenderanno i loro live, c’è già chi prospetta di portarsi delle comode sedie pieghevoli da chiudere non appena attaccano con i loro vecchi pezzi, ma in ogni caso non è giusto che finisca così, e se per davvero questo è l’inizio di una parabola sonica discendente, non so davvero cosa possa riservarci il futuro. Magari un featuring con la Squadra Italia .
(Mario Mucedola)