Torino, città industriale. Tutto superato, decontestualizzato nella poetica di Stefano Amen, cantautore. Da un lato le parole italiane, dall’altro una struttura melodica country blues che richiama alla mente Johnny Cash. Una musica lineare, diretta e docile, su cui poggiano immagini e parole, desolanti e desolate. L’alcol conduce nell’ascolto, fa annegare nelle melodie blueseggianti, apre e chiude il disco. Berlino, New York, Città del Messico è un album circolare, un circolo vizioso che affresca la precarietà odierna. Dalla tequila inizia tutto, e con lei tutto finisce. “Tequila Amore Mio” e “Tequila Blues” condividono le stesse linee armoniche, persino le stesse parole. Solo la voce è ancor più biascicata, ubriaca e provata dalla narrazione. Amare riflessioni, slanci ironici sedati da dosi di realtà sofferente. I narratori sono eterni perdenti, delusi, consapevoli delle proprie debolezze e della propria, inesorabile, sconfitta.
In 35 minuti Stefano Amen racchiude nove brani che parlano di una profonda incoerenza tra conoscenza ed azione, “posso parlarti del plusvalore per minuti ma non resisto nel comprare le adidas” come canta in “Crack”. In altri brani l’azione è motivata dalla semplice volontà di non soccombere all’indolenza, vedi “Come non detto” che con la sua melodia vivace tocca l’apice del disco, che puntualmente con la titletrack riprende la discesa disincantata. Berlino, New York e Città del Messico escono dall’immaginario collettivo e si personificano, diventano donne, con occhi e abiti a caratterizzarle. Lontano dal paesaggio urlato di Vasco Brondi, Stefano canta con una malinconia garbata, più che da ascoltare da assaporare come un buon malto.
(Amanda Sirtori)