Stasera esco. Basta stare rinchiuso tra queste quattro dannate mura. Mi dirigo verso l’armadio, lo apro. Mi assale l’irrefrenabile voglia di rispolverare la camicia di flanella rossa, sapete, di quelle a quadrettoni da boscaiolo, comprata ad un mercatino delle pulci londinese e regalatami dalla mia ex. Quante mani l’avranno toccata? Quanto sudore avrà assorbito, magari ad un concerto? Chissà per quale motivo oggi mi è subito saltata agli occhi. Piove. Ma non è per questo. Sono le distorsioni, le note, i suoni dei Versailles che hanno inconsciamente portato i miei occhi sul tessuto pesante della mia camicia.
I due (dico due) suonano come un’orchestra, se mai un’orchestra potesse essere formata da un Kurt Cobain dei primi tempi, J. Mascis, Ian Curtis, Kim Gordon e Josh Homme. Il loro nuovo disco, Dust & chocolate, ha risuonato tra le quattro dannate mura di cui prima e quelle dei miei vicini per giorni. Nessuno si è lamentato. “Shoot the Band! Shoot the Band! Shoot the Band! Shoot the Band!” Recita ossessivamente il primo brano. La voce corre su suoni grossi come pezzi di cemento. E tu insieme ad essa. Una corsa lunga poco più di 2 minuti. Una corsa che ti porta a “Credere”. Il secondo, selvaggio brano che martella il tuo sistema nervoso scaraventandoti in un’attualissima riflessione sul malessere personale. Le distorsioni degne della migliore scuola ’90, pastose ed incasinate, continuano a mescolare gli scarti di cibo nel tuo stomaco, come se una mano ti entrasse dalla bocca passando per la trachea, lasciandoti senza respiro. E, quando ti sembra che stia per uscire lasciando una scia di feedback nel tuo corpo, subito un altro martello distorto arriva dal pavimento e ti fa venire voglia di saltare. E di scuotere la testa. “The number” e poi “Mongoloid”, con quel penetrante organo che suona su note quasi fastidiosamente acute, aggrappate alle corde della chitarra. “The Summer” e poi “Swimming pool”. Manco a farlo apposta. Sotto un sole di feedback è inutile qualsiasi crema protettiva. Sono irresistibili. Ti viene voglia di essere ad un loro concerto. Con qualche retaggio new wave la prima, più giocosa la seconda, si apre un nuovo ambiente deliziosamente punk. “Sex express” sembra quasi voler essere un piccolo tributo agli Exploited. Con quel rumore di ruote sui binari, quel sapore di stazione che ti accompagna per l’intero brano. É come nei guerrieri della notte. É come se stessi correndo verso un treno in partenza e, alle tue spalle, un tizio ti rincorre. Vuole prenderti perchè ti ha sorpreso con la sua tipa. Esatto. Sali su quel vagone, solo lì lui non può raggiungerti. Ti siedi vicino al finestrino, e vedi scorrere la stazione. Sotto le scale, in un antro buio, scorgi i residui della notte di un eroinomane. Davanti a te è seduto Ian Curtis. Con la sua figura filiforme striscia tra le note del settimo brano, “Hate”. Un attimo di relax con “Very nice”, ma non puoi godertelo dato l’ambiguo senso di inquietudine che aleggia in esso. Ultima Fermata, “A light in my mind”. Chiudono con un brano in stile Joy Division/Sonic Youth, senza però tralasciare il tocco personale che rende inconfondibile il sound. Mi salutano i feedback, lasciando in bocca un sapore metallico.
Wow. Per quale assurdo motivo dovrei uscire. Piove. Metto addosso la camicia di flanella. SHOOT THE BAND! SHOOT THE BAND! SHOOT THE BAND! SHOOT THE BAND!
(Tyler Jane Davis.)