Nell’epoca della digitalizzazione del mondo e della guerra alla cultura, chiunque può improvvisarsi sommo vate e riscuotere un successo enorme. Proporsi come scrittori presenta però grossi rischi oltre che grandi spese, in termini di tempo ad esempio. Leggere un libro è infinitamente più facile che scriverne uno. Considerando tuttavia l’atavica pigrizia del popolo italiano, Pierpaolo Capovilla, frontman de Il Teatro degli Orrori, cavalca l’onda e si presenta sul palco romano armato di fogli e leggio, impegnandosi nel disperato tentativo di giustificare un pezzo borioso ed atipico come Majakovskij, con un’opera di divulgazione del sommo vate (lui, si) sovietico, noncurante del fatto che Vladimir fosse stato già sdoganato nel 1985 da dei ragazzetti emiliani rispondenti al nome di CCCP.
Trovare delle sedie piazzate nel parterre del Circolo è una mezza sorpresa. Si sapeva che ci sarebbero state, ma l’infelice scelta del vimini lascia presagire una serata ad alta concentrazione di noia.
Invece, quando nonostante quasi un’ora e mezza di ritardo, comincia il reading, Capovilla tira fuori un urlo da far saltare i ragazzi dietro il bancone del bar, e si accinge così a sciorinare per prima l’Eresia Socialista. Un’interpretazione forse troppo sentita, al punto da risultare quasi sgradevole in alcuni tratti. Un vero peccato, per quello che è stato uno dei canti più belli del comunismo, forse più bello del comunismo stesso. Nonostante l’arrangiamento favoloso di Kole Laca al piano, e Richard Tiso al basso, coordinati da sua maestà Giulio Ragno Favero alle chitarre e laptop, la performance, complice anche un Capovilla visibilmente malconcio e raffreddato, stenta a decollare, e l’applauso alla fine della prima declamazione è quasi strappato a forza dalle mani degli astanti.
Di diversa foggia è la recitazione dell’Eresia dell’amore. Bella. Con Pierpaolo che nella parte del pazzo dissennato dà il meglio di sé ed esplode nel rancore dell’abbandono, lasciando ogni contegno sugli ultimi, tragici, passi dell’amata che se ne va. Un’interpretazione da brividi, miscelata al fondo musicale che rende il tutto più drammaticamene straziante, tanto che quando finisce resta pesante la cappa che avvolge il Circolo, nonostante l’applauso scrosciante e liberatorio dei pur pochi spettatori. Ce ne fossero di spettacoli così…
(Mario Mucedola)
Foto: Fabrizio Bisegna per 06 Live