Sì lo so. La ricerca del citazionismo stilistico per i dischi d’esordio è una di quelle perversioni musicali fini a se stesse. Ma dato che posso resistere a tutto tranne che alle tentazioni, me ne fotto e decido di partecipare lo stesso a questo giochetto onanistico. Avendo poi iniziato la recensione con una metacitazione (Wilde e Giovanardì così, in una botta sola), avrete già intuito che uscirne ormai sarà estremamente complesso.
Cara maestra abbiamo perso di Dimartino mette tutto bene in chiaro fin dal titolo. Tenco e Gaber, tanto per iniziare. Il primo risulterà poi, a conti fatti, il cantautore più esplicitamente omaggiato durante tutto l’album: dal nome del disco, ai primi versi di “Ho sparato a Vinicio Capossela”, fino alla vera e propria cover de “La ballata della moda” (assieme al grande Cesare Basile, anche produttore di questo esordio del cantautore palermitano). Come non pensare poi a Rino Gaetano e Lucio Dalla, mentre nelle orecchie pulsa l’urlo roco di “Cercasi anima” o le atmosfere jazzate del già citato inno all’omicidio del Vinicio nazionale?
Quando però pensi di aver a che fare con il classico disco cantautorale tutto pianoforte e chitarre acustiche, ecco invece esplodere il tiro post-punk di “Cara maestra”, a metà strada tra Ivan Graziani e Federico Fiumani. Dimartino si rivela così estremamente credibile in entrambe le vesti. Eh sì, perché se è vero che le influenze non si contano, è altrettanto vero che il tutto è ottimamente filtrato e riletto dal talento del cantautore siciliano, capace di ottime liriche e altrettanto buone doti vocali, che lo fanno entrare di diritto nella folta schiera delle nuove leve cantautorali indipendenti: Iosonouncane, Brunori S.a.s, Dente, lo stesso Vasco Brondi. Proprio quest’ultimo firma un’ospitata nella bellissima “Parto”, il pezzo più sofferto dell’album. E se di certo il buon Vasco non fa nulla di diverso dal solito, sorprende positivamente l’unione di voci dei due autori, che firmano così una delle tracce più convincenti del disco. La successiva “La lavagna è sporca” vede invece la partecipazione dei Mariposa, in particolare l’onnipresente e onnisuonante Enrico Gabrielli e quel poetaccio di Alessandro Fiori, come emerge dall’arrangiamento psichedelicamente anni ’70 del brano. Segue “999”, che non è il numero di un Musichiere di baustelliana memoria, ma un altro pezzo che rimanda fortemente al primo Rino Gaetano (quello di “Ingresso libero”), con qualche eco di Jannacci nel testo (ci si propone di andare allo zoo a vedere i leoni drogati…). “Cambio idea”, col suo incedere di pianoforte, sembra uscita dall’esordio di Dino Fumaretto, mentre la già citata “La ballata della moda” è un Tenco riletto dai Bad Seeds e sorprende per l’incredibile attualità di un testo magnificamente al vetriolo. Chiude la delicata “Marzo ‘48”, un po’ Dalla nel titolo, molto De Gregori nel resto.
Ok, mi sono sfogato. Ora non resta che consigliare di cuore a tutti questo gioiellino di Dimartino, che se da un lato rappresenta una sorta di Bignami del cantautorato nostrano degli ultimi cinquant’anni, dall’altro denota le ottime capacità compositive dell’ex-Famelica, capace di far emergere in modo chiaro e convincente la propria identità artistica da questo oceano di volti e versi che affollano la nostra memoria musicale. Per noi che siamo pervertiti, senza un punitore.
(Federico Anelli)