Qual’è la cosa, o una delle cose, più difficile da portare avanti, tenerla salda a sè e fare in modo che non si deteriori? Sicuramente i rapporti interpersonali. É già difficile capirsi, figuriamoci capire gli altri, cercare di mantenere stabile un rapporto duraturo che sovente diventa deleterio e senza via d’uscita. In questo caso però non si parla necessariamente di un rapporto tra due persone che intrecciano una passione amorosa, perchè nella gamma delle relazioni tra individui c’è posto per l’amicizia, la famiglia, finanche il lavoro e mettiamoci dentro anche queste nuove forme di conoscenza tramite social network che molto spesso non vanno più in là di una superficiale sbirciatina voyeristica nella vita delle altre persone.
E se proprio la persona che ami, o amavi, inizia ad allontanarsi da te, rendendoti impotente mentre osservi la sofferenza che porta dentro rosicchiarle il corpo; come fare per aiutarla? Non ci sono risposte a questa domanda se non altre domande probabilmente senza risposta. Ed è così che parte il nuovo album dei Colore Perfetto, con una ninna nanna disperata dal titolo “Brucia”: “E adesso che fai?/Credi di sentirti meglio/non vedi che è inutile/continuare a fingere/cercare di nascondere la verità/hai un colore pallido/Pensi di poter resistere così/non parli più/non mangi più/stai soffocando/ti stai avvicinando al limite/combatti il tuo corpo/come un nemico da uccidere/mi stati tenendo lontano/ricordi l’amore tra noi/faceva stare meglio/ e adesso che fai?”. Pochi versi asciutti e diretti per un inizio struggente, una toccante richiesta d’aiuto da parte di chi non sa che fare quando la persona amata cerca nell’anoressia la via più facile ai propri problemi. Un brano che quasi da solo meriterebbe l’acquisto di questo secondo disco. Per fortuna invece l’album è pieno di canzoni che ti si affollano in testa, pronte a posizionarsi ed esploderti dentro dopo un paio ascolti. Le sonorità intimamente acustiche del brano iniziale lasciano via via posto ad una tensione elettrica sempre più potente; “L’impercettibile” e “Cagna Fedele” mescolano il cantautorato elegante di Paolo Benvegnù (periodo Piccoli Fragilissimi Film) con una sana elettricità rock. La successiva “L’illusione” tocca il climax ideale di un’ipotetica fuga, dai risvolti disastrosamente pulp, nella quale i due protagonisti sentono sul collo il fiato della disfatta, della cattura. Con le idee offuscate continuano un’inesorabile corsa senza destinazione, ben rappresentata del crescendo delle chitarre e della sezione ritmica, fino all’unico pensiero possibile per una fine dignitosa: “Ci sono affianco/sentono già l’odore/ti giuro preferirei morire”.
Con l’arrivo di “Due fuochi” i toni si placano nuovamente, una sottile corda cremisi sembra legare questo brano con quello iniziale: “La verità è quello che ci spaventa sempre/abbracciami/voglio sentire il tuo calore/abbandonarsi con me/sai sto aspettando la fine/la inseguo ormai da sempre”, le atmosfere acustiche iniziali tuttavia lasciano il posto alla frustrazione ben disegnata dalla band. Quel che resta di questo disco è una discesa negli inferi senza possibilità di fuggire o di rivedere il sole: i paesaggi sonori si fanno tetri, la fuliggine ricopre cose e persone rendendo tutto angosciosamente indistinguibile e le parole diventano quasi minaccia. “Come un’ombra” si muove lenta e flessuosa (“Sarà più semplice illuderti che abbandonarti/Sarà recidere per rifiorire”) fino alla sua metà per poi lasciare posto ad una lunga coda strumentale che ha il sapore di lande desertificate prive di vita umana. Le successive “Nella mia mente” e “Il mondo è brutto” sembrano nate proprio in quei luoghi caliginosi, posti in cui il sudore diventa seconda pelle ed il sangue si impasta alla saliva rendendo il sorriso ed il viso una maschera grottesca. L’ultimo brano, “9 A.M.”, è una lunga cavalcata ipnotica strumentale (quasi dieci minuti snervanti e un po’ troppo diluiti di post-rock sudaticcio, ne sarebbero basti solo sei) nella quale le ombre della band danzano con quelle degli Shipping News più lisergici e allucinati.
L’illusione del Controllo marca il territorio in modo più deciso e personale rispetto all’interessante disco d’esordio il quale però aveva il difetto (molti pagherebbero per avere difetti simili) di rispecchiare troppo l’identità del produttore artistico, tale Moltheni. Il Signor Giardini aveva esercitato una tale fascinazione sulla band da sembrarne, in quei frangenti, il loro leader. In questo album invece troviamo alla produzione artistica Giacomo Fiorenza (la presenza di Moltheni continua ad esserci, ma solo per rifrazione) il quale ha la capacità e la bravura di mettere in evidenza ciò che nel precedente album si intravedeva soltanto. Alla fine ci si trova davanti ad un disco maturo, ricco di sfumature e cambi d’umore, composto da canzoni di buonissimo cantautorato dalle forti tinte rock, che prende a calci i tanti manierismi indie-rock-pop-folk che inflazionano lo Stivale di questi tempi, e che addirittura rischia di diventare un punto di attracco in quel futuro nero e nebuloso che ci stanno lasciando in mano. Consoliamoci.
(Antonio Capone)
L’illusione del controllo by Libellula