I Decemberists sono una bella realtà folk-rock americana con dieci anni di onorata carriera alle spalle. The King is dead è il loro nuovo album che conta anche della collaborazione del chitarrista Peter Buck (R.E.M.) in tre brani. Dopo aver subito la fascinazione del folk inglese (un nome su tutti, Fairport Convention) i Decemberists scrivono con questo album, una delle più importanti pagine contemporanee di folk elettrico americano. La reale bellezza del disco sta nel presentare con originalità e freschezza i noti ingredienti musicali che da sempre sono sinonimo di folk, quali banjo, chitarre acustiche e tamburelli, senza dimenticare però di spennellare un po’ di elettricità.
“Calamity song” va proprio in quel verso regalando un atmosfera di fresco ed intimo rock. “Rise tone” è sbarazzina e frizzante. Oltre al cantante della band Colin Meloy, i cori si arricchiscono di atmosfere più soffici grazie a Gillian Welch. “Rox in Box” e “Down by the water” sanno di rock americano anni ’70, grandi spazi e tanto sole che picchia giù per le strade americane. Ed è in questi due brani dove si rintracciano le maggiori influenze di “The King is dead”. Da una parte i R.E.M. dei tempi di “Out of time” e dall’altra Bob Dylan. Si vocifera che proprio Mr Zimmerman abbia ascoltato alcuni dei brani dell’album durante uno showcase a Seattle. Due canzoni come “January Hymn” e “June Hymn” dimostrano quanto l’album sia versatile. Ascoltato durante la stagione fredda ci riscalda con le sue melodie solari e dirette, mentre durante i tempi più caldi suona come cristallino e diretto. Proprio come nella migliore tradizione americana targata Crosby, Still, Nash and Young.
“April, all an ocean away/ Is this the better way to spend the day?”
No, per i Decemberists e per me non c’è modo migliore.
(Giorgia Furfaro)