É un pomeriggio malinconico quello che si apre sulla città e sugli alberi che non ci sono mai stati, sulle strade consumate e sulle nuvole che minacciano e fanno paura. Quale ambiente ideale per ascoltare Paolo Benvegnù se non questo? Benvegnù è uno che potrebbe cantare anche l’elenco del telefono e mantenere inalterato il proprio stile e la propria dolcezza intrinseca, è un Capossela meno astratto, un Tom Waits che non puzza di circo.
Un Uomo che tutto sommato ha dalla sua anni ed anni di esperienze da raccontare, persone nelle quali viaggiare, per giungere ad un “Pianeta Perfetto”, il pezzo che apre l’album, un dolce e disperato grido d’aiuto, una nenia con lo stesso effetto dell’ipnorospo che fissa la camera, spazzando la mente da ogni residuo musicale precedente, al fine di preparare il terreno per “Moses”, un pezzo che a dire il vero mi sa tanto di “già sentito” da Benvegnù stesso, ma che forse proprio per questo ambisce a diventare un classico del repertorio di questo artista. Con “Love is Talking” si esplorano territori più intimi, attenzione non intimistici. Frega niente a nessuno se si ascolta un pezzo ritmato o un lento, quello che conta è il testo. E ritrovandomi di fronte a “Ché non è vergine la terra, perché a violenza l’ha piegata il mare” non mi interessa più niente se non la potenza espressiva delle parole. Altro che poeti decerebrati decantati come divine incarnazioni degli Stilnovisti, qui c’è così tanto contenuto che “Avanzate, ascoltate”, che per un musicante qualunque sarebbe stato il pezzo di apertura di tutti i best of, in questo disco passa quasi in secondo piano, schiacciata da “Io ho visto”, che a tratti ricorda il Fossati più recente, quello – per intenderci – di “Ho sognato una strada”, ma sempre con i tratti distintivi di Benvegnù, ovvero le chitarre acustiche in perenne arpeggio e quella voce che in sé porta la decadenza e la sofferenza che, con tutto il rispetto, Vecchioni, altro milanese DOC prepotentemente riaccreditatosi presso il popolo indie, proprio se la sogna. Segue “Andromeda Maria”. L’accostamento tra Andromeda, condannata ad espiare le colpe della madre, e Maria, la madre di tutte le madri, raggela il sangue se si presta attenzione ad una frase centrale del testo: “Io sono l’invenzione che salva e ti sfugge, tu sei le armi che porti sui fianchi trascinandoti nella polvere”, quasi come a ribadire che non esiste Madre per il destino degli uomini, abbandonati a sé ed in balia degli scherzi della propria coscienza. Ma c’è spazio ancora per la redenzione dell’uomo, la libertà tanto decantata da Jean-Paul Sartre, il filosofo che insieme a Marcuse ha segnato un’era, quella che tutti noi ricordiamo semplicemente come “Il Sessantotto”. Ovviamente si parla di “Sartre Monstre” e di come “Il giorno sembra sciogliersi, tramonta nel rosso rubino”. E le vette liriche non si esauriscono certo con l’ultimo pezzo descritto, anzi raddoppiano in “Date Fuoco”, accusa all’oppio dei popoli, che obnubila la coscienza dell’uomo che si lascia annullare ad appannaggio di una macchina, che si lascia convincere che la guerra sia giusta, in nome del progresso, in nome della grazia divina. C’è spazio ancora per una piccola perla, che in futuro verrà coverizzata da altra varia gente come già successo in precedenza: “Il Mare è bellissimo”, un pezzo talmente profondo da riuscire a nascondersi sotto una superficie che tuttavia non risulta banale, ma di certo nasconde il senso vero del pezzo e forse anche proprio del disco: un percorso di redenzione, un’opera quasi accostabile alla filosofia dei corsi e ricorsi storici Vichiani, nei quali l’uomo tende a tornare alla condizione iniziale perché pura anche se perfettibile. “Hermann” nasconde questo lungo tutta la sua durata, una ricerca profonda del senso delle cose e delle persone, sotto una coperta intrecciata di fili d’oro, come nelle favole, che però, a differenza di Benvegnù, non sono reali.
(Mario Mucedola)
Paolo Benvegnù – Andromeda Maria (radio edit) by Cyc Promotions