Non è mai stato così bello farsi mandare affanculo. E se il gentile invito alla sodomia indesiderata è accompagnato dal ghigno sardonico degli Zen Circus, non può che annunciare una festa.
Oltre 130 concerti e non sentirli. Tanto sta durando – e non accenna a fermarsi – il tour di Andate tutti affanculo. Le date dovevano essere 110 ma, visto che c’erano, i pisani hanno puntato alla lode con bacio accademico. Non un cedimento, nemmeno un velo di stanchezza, nessun segno di routine macchia la loro esibizione per la gioia di un Magnolia pieno e partecipante. Gli Zen Circus regalano un baccanale serrato, venato di ironia, mettono in scena semplicemente se stessi ed è bello così, perché sono – e lo dico senza tema di smentita – uno dei migliori gruppi in terra italiana. Promanano una vitalità rara, sorretta dallo spirito fermo di chi sa di star facendo ciò per cui è nato e di guadagnarci il pane: Musica. L’ha detto Ufo, in un’intervista a cui ho avuto occasione di assistere prima del concerto: “suonare, per noi, è come scopare per Rocco Siffredi: due film sono per i soldi, gli altri li fa perché gli piace scopare”. Chiaro no?
L’onere e l’onore di scaldare palco e pubblico spetta ai perugini Fast Animals and Slow Kids. Una band acerba ma tutto sommato interessante, che esprime quanto avrebbero potuto essere i Fratelli Calafuria se non si fossero messi a fare i rumoristi. Ma è all’ingresso degliZen Circus che tutta l’attenzione della calca si rivolge al palco. I tre pisani stanno lavorando al prossimo album, Nati per subire, previsto per ottobre, e si spera di far loro da cavie per la resa live delle nuove canzoni. L’overture è affidata a “I bambini sono pazzi”, direttamente da Vita e opinioni di Nello Scarpellini, gentiluomo, primo ripescaggio di un excursus che spazierà lungo tutta la discografia del gruppo, atto a celebrare la ristampa dei loro primi quattro album, ormai fuori catalogo, sotto l’egida di Unhip e La Tempesta. Stabilita la pazzia dei bambini, “Gente di merda” ci riporta per tre minuti al presente, prima dell’uno-due “Colombia” e “Vent’anni”. Il pubblico si stringe attorno al gruppo e intona a memoria tutti i testi, compresi quelli in inglese di “Punk Lullaby” (un vero gioiello indie da manuale) e “Mexican Requiem” (ripresa da Visited by the ghost of Blind Willie ‘Lemon Juice’ Namington IV). Dopo i momenti anthemici di “Figlio di puttana” e “Vana gloria”, arriva l’inedito, “Ragazzo eroe”. La canzone è caustica, puro street-folk d’assalto, e fuga la paura che Andate tutti affanculo potesse essere l’apice del climax della loro poetica. La doppia chiusura è da far tremare le vene e i polsi: il Dickens metropolitano aggiornato agli anni Zero di “Canzone di Natale” prima dei bis, suggellati da una “Sailing Song” lunga e distorta che fischierà a lungo nelle orecchie dei presenti.
Uscendo dal Magnolia ho pensato che, se c’è del marcio in Italia, questo non tocca la musica. Gli Zen Circus cantano quest
o marcio, ma non ci campano dentro, ne sono i distaccati sbeffeggiatori, denunciandone cliché e contraddizioni; sono al di sopra e al di là del marcio, non ci è dato sapere quanto consapevoli che col loro lavoro contribuiscono a far germogliare qualcosa di buono per un futuro meno grigio.
Il prossimo appuntamento col Circo Zen è a maggio, quando daranno alle stampe l’EP Metal Arcade contenente vecchi pezzi, più qualche cover, rivisitati in chiave punk. Il titolo vuole essere un piccolo tributo agli Hüsker Dü di Zen Arcade e Metal Circus. Poi, a ottobre, Nati per subire. Non vedo l’ora.
(Francesco Morstabilini)
Foto: Jessica Bartolini