Bassa fedeltà (“low fi” a Londra e dintorni), non sembra il nome giusto per questo trio napoletano che suona un electro-indie di facile ascolto che tanto piace ai giovani italiani di oggi influenzati dalla musica d’oltremanica, e, credetemi, questa non è affatto una critica.
I Low-Fi si formano nel capoluogo campano all’inizio degli anni 90 e per molto tempo non vengono notati all’interno del panorama musicale italiano, ma la svolta arriva quando nel 2005 Fontanella, chitarrista dei 24 Grana, decide di seguirli da vicino aiutandoli nella loro produzione musicale, fino ad arrivare alla pubblicazione, nel 2010 del loro primo omonimo ep.
Le cinque tracce che compongono il Low Fi EP scorrono tutte lisce senza mai un picco negativo, ma, purtroppo, senza neanche quello spunto che ci si aspetta arrivi in alcuni pezzi.
Sin dalla prima canzone “Garage Floor” si capisce quali sono le influenze del gruppo, infatti, oltre ai vari dEUS, Sonic Youth e Soulwax, da loro stessi citati come “muse inspiratrici” (passatemi il termine), si nota anche la forte similarità con i Placebo, nell’uso della voce e in alcune sonorità. “Garage Floor” è comunque azzeccatissima in apertura, con un ritornello che ti rimane in testa e difficilmente se ne va, anche se risulta un po’ scontato. Si continua con “Wrongness”, la più riuscita secondo me, che inizia con un giro di basso molto coinvolgente che da quel tocco di stile alla canzone che forse manca nelle altre, ottimo questa volta il ritornello rinforzato dall’uso di una seconda voce più cupa. “No Morning” scorre via senza infamia, ma non senza lodi soprattutto per il coinvolgente ritmo palleggiante che fa saltare le folle, e nella successiva “The White Lane” si sente forte lo spettro degli Editors nell’incedere della canzone, tipico della band di Tom Smith. Finalmente nell’ultima canzone dell’ep, “Something”, vengono sfruttate a pieno le tastiere, che negli altri pezzi sembrano sempre interrotte sul più bello, forse è proprio questo il pezzo distintivo dei Low Fi, il pezzo che risente meno delle varie contaminazioni, il pezzo dal quale ripartire, infatti, appena finisce “Something” ti chiedi perché abbiano registrato solo cinque canzoni lasciandoci proprio sul più bello, ma si sa, fare musica costa e i soldi sono sempre pochi, quindi per ora ve bene così.
L’ep si fa ascoltare facilmente più volte, senza risultare mai pesante o scontato, senza essere ripetitivo ma ti sorprende ad ogni nuovo ascolto. Certo, c’è ancora tanto da perfezionare ma il grosso c’è, con questo lavoro sono state gettate solide fondamenta sulle quali costruire qualcosa di solido, lasciandosi forse, in futuro, un po’ più alle spalle le forti influenze musicali, che però già in questo ep non rendono i Low Fi la brutta copia di nessuno, perché i Low Fi sono i Low Fi punto e basta e quest’album ne è la conferma.
(Andrea Porsia)