La televisione non offre quasi mai un granché, ma bisogna dire che i palinsesti mattutini sono quanto di peggio. Per quel che ne so io la mattina vanno ancora forte le repliche di sit-com anni novanta, quelle con le risate finte infilate sopra ogni faccia buffa per intenderci. Oppure ci puoi trovare il pastore americano ed i suoi trentotto figli che in ogni episodio fanno del gran bene alle persone meno fortunate perché, che ci volete fare, in famiglia hanno tutti un cuore grande così.
Morning Telefilm mi fa venire in mente cose di questo genere. Con un nome così, dietro al quale in realtà si nasconde il solo Emanuele Gatti, la suggestione è servita su un piatto d’argento, facile facile, e allora non posso fare a meno di pensare che sia proprio la mattina la collocazione ideale per le sue canzoni. Di più: mi vien voglia di credere che Gatti, col suo pseudonimo, abbia pensato e realizzato queste canzoni affinché potessero dare il loro meglio in quel momento del giorno.
O Time, il disco di Morning Telefilm, mette in fila i brani come in una immaginaria colonna sonora per la routine che segue il risveglio. Quello del giorno da lavoro come quello della domenica, coi giramenti di testa post-sbornia e la lingua incatramata dalle sigarette accese una via l’altra, senza tenerne il conto. Acqua, sete, rabbia e affetto per riassumere alla sua maniera.
Come quando E degli Eels decide di cantare per una delle sue donne (cosa che in effetti accade molto spesso), l’album propone in bassa fedeltà un cantautorato folk dai toni morbidi e sussurrati. In più, ad arricchire un prodotto che fin qui sembrerebbe davvero troppo convenzionale, c’è un costante sottofondo di elettronica minimale, al confine con la glitch, sempre in agguato per riprodurre cortocircuiti e brusii. In fondo, seppur con le dovute proporzioni, nulla di troppo diverso dall’idea di musica che ha fatto la fortuna dei Tunng.
Sebbene l’organetto di “Billion Billiards” in apertura del disco lasci presagire una certa serenità e spensieratezza, ci si accorge ben presto che le cose non stanno esattamente così, e che la musica del nostro in realtà edifica pigramente sopra uno spesso strato di rassegnazione e nostalgia. I pezzi si susseguono, pur tenuti insieme da quei rumori sullo sfondo, a volte liquidi e dilatati e altre più frenetici e carbonari, e che apparentemente non sembrano conoscere soluzione di continuità, canzoni nelle canzoni senza alcun rispetto per la classica suddivisione del disco in tracce.
Senza dei veri ritornelli catchy o brani che spicchino sugli altri, non esattamente un pregio a parere dello scrivente, il disco costruisce e porta avanti fino alla fine con coerenza la stessa atmosfera svagata e un po’ tristanzuola, simile a quella in cui, nostro malgrado, ci ritroviamo dopo un sonno troppo breve, a mettere a fuoco la stanza che ci circonda, e a sforzarci invano di recuperare pezzi di sogni interrotti a metà.
A voler proprio giocare al “trova l’intruso!” coi titoli della tracklist, vien da puntare il dito dritto su “Morganology”, anomalia in italiano in mezzo a testi in inglese, in bilico sopra un delirante tappeto sonoro come farebbero Marta sui tubi. Oppure “Wax”, la canzone che riesce per prima a farsi afferrare: sarà per il suo giro di chitarra ripetuto, sarà perché crea tutti i presupposti per una apertura definitiva del brano e poi di colpo finisce senza che tu te ne accorga, sarà perché sembra un brano degli A Toys Orchestra.
Di certo “O Time” non fa dell’immediatezza la sua arma migliore, ma, soprattutto grazie al contributo considerevole della sperimentazione, Morning Telefilm ha il merito di aver saputo rendere più interessante un mondo musicale che già da un po’ ha smesso di regalare sorprese, ed ha dato alla luce quel che si potrebbe dire un bigino di melodie disturbate e adulterate, da ascoltare mentre vi dimenticate del vostro caffè e lo lasciate malinconicamente sul tavolo a raffreddare.
(Alberto Mazzanti)
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