Esistono diversi tipi di gabbie, quelle tipicamente fisiche e reclusive nelle quali un essere vivente viene rinchiuso per non arrecare ad altri delitti e ingiustizie; ci sono anche gabbie auto-imposte da certi individui cui la realtà ed il contatto con l’esterno spaventa, preferendo ingoiare la chiave che apre quel lucchetto, giocare con apatia e sospetto piuttosto che confrontarsi, gioire, soffrire e vivere in quell’unica vita concessagli. E poi c’è La Gabbia come specchio che racconta un’esperienza mentale in cui gli attori diventano archetipi di un’angoscia moderna ineluttabile. La fuga è l’atto fisico che la traduce e ne reitera il senso scatenante: il rifiuto di un male nascosto nel profondo che soltanto alla fine sarà svelato, quando qualche parola indirizzerà la chiave di lettura definitiva.
Tutti corrono e si mescolano in tre atti-situazioni che innescano il gioco di uno scambio sensoriale che amplifica il linguaggio simbolico di uno svolgimento ad anello. La vista, la voce, l’udito si fanno assenza-presenza nei corpi dei soggetto che ruotano intorno alla protagonista nella costante dell’inseguimento. Una donna, che nel suo mostrarsi all’inizio e alla fine, è architetto di un ossessione irrisolta. L’impianto visivo segue il tempo di una scansione emotiva operata dalla musica. Ogni strumento suona un personaggio. Tensione e dilatazione sonora si sciolgono nello stesso gioco ripetitivo dell’insieme narrativo, accentuando e descrivendo la condizione interiore dei corpi in movimento.
“La Gabbia” è un cortometraggio diretto da Francesco Petruccelli, montato da Valentina Villa con la colonna sonora originale composta da Giuliano Dottori (Amor Fou). Quì in basso trovi il trailer.