Si cercano il futuro alle spalle, gli Egoisti Cale. Band torinese nata nella primavera del 2010 dall’incontro di quattro giovanissimi (età media 20 anni), i Selfish Cales si dedicano al recupero di sonorità che facevano sculettare i loro genitori – quei suoni beat filtrati dalla sensibilità garage americana colpita in pieno petto dalla british invasion – senza però limitarsi a un pedissequo ricalco calligrafico, bensì rielaborando quei suoni secondo una loro personale chiave moderna.
Sottolineo personale, perché la modernità dei piemontesi si arresta al brit pop anni ’90, in particolare agli apocrifi bleatlesiani più psichedelici, i Kula Shaker. Non c’è dubbio che le canzoni abbiano un bel tiro e trasmettano good vibes al piedino, che non smette mai di battere il tempo dalla prima canzone all’ultima, ma non tutto è completamente a fuoco nella musica di questi children of nuggets nostrani, che assomigliano più a una cover band dei That Petrol Emotion piuttosto che a dei nuovi Kula Shaker. Quando parte il sitar di “Imaginary Journey”, l’ultimo dei cinque pezzi di questa demo, l’effetto antiquariato è più forte che mai e a salvare il lotto c’è solo il curioso cortocircuito temporale provocato dalla voce di Gabriel Cale (Gabriele Calegari), così indolente e stonata e inconsapevolmente à la Mark Arm per cui a sprazzi i Cales paiono i Mudhoney – senza fuzz e senza big muff – intenti a rifare i Dukes of Stratosphears. Il problema dei Cales è che arrivano fuori tempo massimo, in ritardo di almeno vent’anni, e la loro musica suona come un’amena curiosità e se non sapessi la loro età anagrafica penserei che ad imbracciare gli strumenti ci siano dei nostalgici dinosauri. Ed è un peccato, perché questi ragazzi hanno molta stoffa da srotolare, si sente nella perizia compositiva, nella capacità di creare melodie catchy che ti si attaccano in testa come una cozza allo scoglio. Li aspetto tra un paio d’anni quando si saranno fatti le ossa su centinaia di palchi e le orecchie su migliaia di dischi.
(Francesco Morstabilini)