C’è una piccola parte di popolazione italiana che al termine “cantantessa” non associa Carmen Consoli. Lo so, è incredibile. Così come alla definizione “voce raffinata” non prende neanche in considerazione i gemiti chewbecchiani di Malika Ayane. Vincenzo Mollica abbia pietà delle nostre anime dannate.
É la stessa parte di popolazione per la quale la perdurante assenza di Cristina Donà dai circuiti mainstream rimane uno dei misteri discografici d’Italia. Per una volta, però, un bel mistero. Non come l’inspiegabile irreperibilità degli dischi di Faust’o.
Sono passati quattordici anni da Tregua, lo splendido esordio della cantautrice di Rho. Era il 1997, annus mirabilis per il rock indipendente italiano. Prodotto e arrangiato da Manuel Agnelli, l’album vantava un suono crudo e sanguigno, meravigliosamente in contrasto con la delicata e al contempo potente voce della Donà. Da lì, attraverso le prestigiose collaborazioni con Sua Maestà Robert Wyatt e Davey Ray Moore dei Cousteau, una serie di bellissimi album e una continua ricerca sonora, segno di grande intelligenza artistica: dalla leggera malinconia di Nido alle atmosfere più notturne di Dove sei tu, fino ad arrivare alla delicatezza de La quinta stagione.
Dopo quattro anni riprende il percorso musicale di Cristina Donà, giunta ormai ad una maturità compositiva tale da potersi permettere di spaziare all’interno di stili diversissimi, mantenendo sempre un’impronta fortemente personale. Così, da un vortice di colori acquarellati, prende vita questo nuovo Torno a casa a piedi, evoluzione di alcune suggestioni dell’album precedente, tra racconti di quotidianità, lieve ironia e caleidoscopiche sonorità (grazie anche alle ottime orchestrazioni di Saverio Lanza). Si parte dal singolo “Miracoli”, perfetto esempio della profonda spensieratezza del nuovo lavoro della cantautrice, qui alle prese con più di un riferimento al Sergente Pepe. La successiva “Un esercito di alberi” è una delle gemme del disco, poesia avvolta da un delicato connubio di archi e fiati (“Un esercito di alberi al vento sei tu, proteggi la mia testa dai pensieri inutili e mi basta”). Si va poi dalla bossanova di “In un soffio”, all’ironica e sincopata “Giapponese (L’arte di arrivare a fine mese)” che rimanda a certe cose di Max Gazzè, fino al pop di qualità di “Più forte del fuoco”. “Aquilone” è un trascinante swing, impreziosito dalle ritmiche di Piero Monterisi, giunto in prestito dalla band di Daniele Silvestri. La bellissima title-track parla di quotidianità, di infedeltà, con uno stile fortemente narrativo , tra chitarre folk e archi. Segue la delicata “Bimbo dal sonno leggero”, ninnananna dal sapore malinconico (“Bimbo dal sonno leggero dovresti dimenticare tutte le vite passate ed i rancori per tua madre/Certo che ci credo, ti vorresti addormentare ma i rumori del mondo non ti lasciano tregua”), ma con un porto sicuro a cui approdare (“Sulla stessa riva restiamo a guardare la notte che scende/Sulla stessa riva torniamo per ogni stella che si accende”). Si torna poi al rock degli esordi con “Tutti sanno cosa dire”, sorretta da un groove davvero notevole, per finire con un altro dei vertici del disco: “Lettera a mano”. Più oscura ed ipnotica rispetto agli altri brani, la traccia conclusiva vanta uno dei migliori testi mai scritti dalla Donà, che mette in luce ancora una volta il suo talento compositivo. Inizia cantando: “Sulle pagine bianche cade inchiostro nero, è il sangue del mio pensiero/Sono frasi annodate a parole orchidee/Carezze disegnate, come fossero vere” e conclude col verso: “Ho paura a volte di aver perso qualcosa/ho paura sempre di rimanere sola”.
Gli anni passano, si cresce, si matura, si mettono al mondo i figli. La vita si tinge di nuovi colori e si impara a vivere ogni giorno con la giusta dose di leggerezza. Ma il bisogno inquieto di una tregua non cessa mai del tutto. Per fortuna.
(Federico Anelli)