A volerla vedere da un’angolazione precisa, il metodo migliore per “misurare” questo The jellyfish is dead and the hurricane is coming, si necessità l’ascolto attento della strumentale “Bugs” e dei suoi, incredibilmente, ben riusciti ritmi stoner che danno il senso, attraverso un sapiente e ben applicato metodo scolastico del genere in questione, del sapore di tutto il lavoro. Di facile ascolto, ma non per questo da considerare come inferiore ad altri grandi progetti stoner di casa nostra, le strutture sonore degli Herba Mate e la minuziosa riproposizione di un certo tipo di “tecnicismi” sono l’anello mancante tra la psichedelica e le “voci del deserto” tanto care a chiunque ha un cuore arido ma facile da incendiare.
Un po’ QOTSA e molto Kyuss, gli Herba Mate, terzetto romagnolo composto da Andrea Barlotti (chitarra), Alessandro Trerè (voce, basso) e Ermes Piancastelli (batteria), usano, in maniera assolutamente inequivocabile, i nove pezzi di questo loro lavoro per mostrare come non sia indispensabile un ensemble infinito di elementi per poter suonare sapientemente dell’ottimo stoner. L’inizio sonnolento di “Machumba” chiarisce più di un aspetto importante nel discorso intrapreso dagli Herba Mate, ai quali riesce facile di riempire l’aria dei suoi oltre quattro minuti, con un semplice arpeggio di chitarra che si scontra a muso duro con gli azzeccatissimi fuoritempo della sezione ritmica, per nulla mortificata dal lugubre incedere del tema portante. Dentro la successiva “Aragosta vs. Panther” ci sono i QOTSA con tutte le scarpe, senza, tuttavia, la voce limpida e quasi gentile di Homme, ma piuttosto con i gorgheggi doom di Pepper J. Keenan dei COC. La doppietta iniziale è forse più un antipasto se ci si immerge nell’affresco sonoro di “Nicotine”, ennesima prova di come i nostri siano profondamente immersi nelle sonorità desertiche di un genere che qualcuno considerava come morto ma che, al contrario, è uno dei pochi, nel rock moderno, a dare qualche spunto di curiosità oltre il semplice ascolto. È un’importante contributo alla sopravvivenza, uno sputo fuori dall’acqua dopo un’interminabile apnea che fantasticamente trova l’epilogo nei tre minuti ed oltre di “1 to 65” e nella silenziosa quiete acustica di “Sputnik”, che ruota lentamente in uno spazio totalmente mancante di gravità, come sembra essere una qualsiasi notte calda del deserto.
Gli Herba Mate e The jellyfish is dead and the hurricane is coming sono il valico quasi sconosciuto che si apre a chi si è messo in testa di esplorare, una strada sicura che nonostante i continui rovesci termici e le piogge intermittenti porta sempre in un luogo che più di ogni cosa si desidera, un rifugio che non si necessita per una fuga, ma, piuttosto, come punto di arrivo.
(Lorenzo Tagliaferri)