Doverosa premessa: nonostante il nome, non si tratta di un’inutile cover band degli Aerosmith buona per riempire qualche orribile locale della Brianza. Quindi potete continuare a leggere serenamente la recensione. Fine della premessa.
Dopo i primi due album in inglese (Sue Me e Re Pulsion), il trio veneto, guidato dall’intrigante voce di Anna Carazzai, ha deciso di intraprendere la tanto auspicata via dell’italiano. E la scelta convince, come dimostra questo nuovo Il giorno dell’assenza, grazie ad un uso musicale della lingua madre fortemente debitore verso i Verdena, coi quali l’album sembra avere più di un elemento in comune.
Il muro di suono che la band è in grado di creare nelle cavalcate shoegaze che si succedono all’interno del disco, mantenendo comunque una notevole capacità melodica nelle parti vocali, non può infatti non rimandare a certi brani dei fratelli Ferrari (Luca è ospite del disco, fra l’altro), specialmente del penultimo Requiem (ma anche qualcosa di Solo un grande sasso). Certo, l’equilibrio costruito negli anni dai Verdena, album dopo album, è un traguardo che i Love in Elevator potranno raggiungere solo col tempo, sempre che gli interessi. La pecca che infatti sembra emergere maggiormente è una certa piattezza nello sviluppo di alcuni pezzi, specialmente quelli più lunghi. Questione di tempo ed esperienza, probabilmente. Perché il gusto non manca. Tanto nei momenti più “alt-pop” (l’iniziale “Camilla’s Theme”, “Mata-Hari”, “Il sesso delle ciliegie” o “Honey”), quanto in quelli più noise (la title-track su tutte, vera gemma del disco a metà strada tra i My Bloody Valentine, i Sonic Youth e gli Scisma di Benvegnù).
Dream pop, shoegaze, post-punk, indie rock. Diversi stili vorticano vertiginosamente nella spirale sonora che il gruppo genera all’interno dell’album. L’equilibrio non sempre risulta essere convincente, anche se la forte vena psichedelica e il coraggio di alcune scelte stilistiche sono davvero mirabili e lasciano ben sperare per il futuro loro e del rock nostrano. Degna di nota, infine, la voce della Carazzai, che sicuramente non lascia indifferenti. Nel bene e nel male. Vera colonna portante dell’imprescindibile sezione melodica delle canzoni, ricorda a tratti i Maisie, gioca a fare un po’ Bilinda Butcher, ma rischia a volte di sembrare più Alessandra Contini del Genio. Piccolezze che, se aggiustate, credo permetteranno il definitivo salto di qualità. Nel frattempo godiamoci comunque i molti pregi de “Il giorno dell’assenza”, ennesima testimonianza della fervida produzione musicale del Veneto, vera miniera d’oro di quest’ultimo anno musicale.
(Federico Anelli)