Per una serie alquanto strana di coincidenze mi sono ritrovato ad ascoltare Il Male, esordio sulla lunga distanza degli Albedo, alternato e in alcuni casi sovrapposto, ad un libro uscito anch’esso da qualche mese; XY di Sandro Veronesi. A parte che quando c’è di mezzo il Male, quello con la M maiuscola, nulla avviene per caso o comunque lo è solo in apparenza (l’ingegno del Maligno risiede proprio nelle finte apparenze e casualità) proprio come leggere e ascoltare le varie forme del Male durante il periodo natalizio; Quello puro e inspiegabile da un lato e quello meschino e terreno che risiede nei nostri corpi dall’altro; Ecco, incrociare il Male in modo così assiduo mi ha messo addosso qualche dubbio sulla apparente coincidenza dei fatti nonchè diversi brividi lungo le vertebre.
Tralasciando il libro di Veronesi (che ti consiglio vivamente) devo soffermarmi sul debutto della band milanese la quale costruisce lungo queste dieci tracce un validissimo santuario di umanità varia (e spesso avariata) su una base rock figlia dei nostri tempi; nessun revivalismo o bizzarria elettronica ma puro carnale e sanguigno rock che fa tesoro di quanto appreso da gruppi ormai “arrivati” e che a questi ultimi cerca di dare anche un calcio nel culo per farsi spazio ed attuare quel cambio generazionale che stenta ad arrivare.
Un Male terreno, quello con il quale si confronta il quartetto, appartenente in dosi diverse a tutti gli esseri umani fin dall’infanzia, quel malessere che prima o poi accarezza tutti noi, nel corso della vita, attaccandosi alla schiena e che inevitabilmente provoca una serie di reazioni: Soccombi ad esso e ne diventi vittima sacrificale, paghi gli altri con la stessa moneta corrotta e maleodorante procurando sofferenza solo per il gusto di farlo oppure reagisci con forza alle piccole e grandi ingiustizie traendone lezione.
Gli Albedo mostrano genuina e stimolante scrittura, tanto nei testi quanto negli arrangiamenti, nonchè personalità già formata con idee che puntano al cielo restando però con i piedi piantati per terra; i nostri con questo album mostrano un ventaglio musicale eterogeneo che spazia da brani cazzuti e che tirano forte i capelli (con buona pace di calvi e rasati) come la opener “Da quando sono serio” o con la psicopatica “A farmi intervistare” (dal testo brutale ma dannatamente attuale, vedi alla voce “Cosa non si farebbe pur di conquistarsi 15 minuti di gloria”) o con la vampata noise-rock di “Questa mia pelle”; brani con melodie morbide e riflessive, si ascolti ad esempio “Esistono ancora i pescatori” nella quale verso il finale sembra che Raniero Federico Neri (voce della band) nasconda il volto dietro una mascherina da allegro ragazzo morto oppure con la lenta ed ipnotica “L’importanza di chiamarsi per nome” che rifluisce il suo finale dentro “Cemento e Gelosia” con la sua lucida visione su personaggi aggrappati alla superficialità contagiosa di questi ultimi anni disgraziati.
Allora, che si facciano avanti gli Albedo così come stanno facendo altre band (gravitanti soprattutto nel circuito musicale milanese) come i Grenouille o i più blasonati Ministri. Che facciano un inchino a chi li ha preceduti ed ispirati (ovviamente mi riferisco a band dall’italiano idioma) ma che abbiano pure il coraggio di dare loro una spinta giù da quel palco che necessita ormai di essere calpestato da giovani piedi, sporcato da sudore talento e da album come il Male degli Albedo.
(Antonio Capone)
Myspace – Scarica gratuitamente, ed in esclusiva, Il Male degli Albedo