Undergound Railroad è un nome che ispira sangue e sudore, che fa pensare a larghe distese di nulla in mezzo alle quali sfreccia una decappottabile rossa, supportata da uno stereo che spara musica rock a tutto volume. E la realtà non si scosta quasi per niente dalla fantasia, solo che la strada sul quale vengono sparati è la Statale 16 tra San Severo e Foggia. Ma l’effetto, posso garantirvi è lo stesso! Riff violenti ed abbondanti di chitarre, spalmati su strutture classiche ma sempre dannatamente efficaci; un basso che decisamente sa il fatto suo, una batteria che non si fa mai cogliere impreparata, ed una voce che coniuga in maniera brillante e senza carenze l’euforia di Robert Plant alle corde vocali di Chris Cornell.
È impossibile scegliere un solo pezzo che possa rappresentare il lavoro intero, perciò procediamo in rigoroso ordine casuale. “A new machine”, è un pezzo che colpisce “di prima intenzione”, grazie alla struttura che riporta, per l’appunto, a grandi glorie del passato, ma aggiornate da una freschezza percepibile immediatamente. “Chain Gang” potrebbe essere un pezzo da “Guitar Hero”, di quelli che in modalità Hard ti spaccano le mani: riff granitico che segue la più rigida struttura blues ma si ispira chiaramente ai Rage Against The Machine, soprattutto per quanto riguarda l’esecuzione durante la strofa, quelle note stoppate che Tom Morello suona più o meno da 25 anni. Una Bulls On Parade degli anni Zero. “Enlightment” prova ad essere il pezzo “rilassato” dell’album, quello da suonare mentre con la mano destra ci si aggiusta il ciuffo di capelli cadenti sul viso, ammiccando al pubblico. Invece si trasforma, sul finale, in una specie di “Jeremy”, ipnotica e sensuale. La carica di matrice punk ritorna in “Part Time President”, e fa affermare con certezza che gli Underground Railroad sui pezzi a muso duro hanno una marcia in più. Sulle ballate invece, come “Rainstorm”, peccano purtroppo di banalità, riproponendo canoni in voga dagli anni ’80 che francamente hanno stufato. Ma non è il caso di drammatizzare, se si può passare ad ascoltare “Black Rain”, con il suo strum acustico durante il pre-bridge che regala un po’ di tranquillità tra l’intro e l’esplosione del ritornello e “Drown”, col suo basso da maestro in apertura, e la chitarra che – raro caso nella storia musicale – si adatta a quello che comanda appunto il basso.
In definitiva un lavoro davvero molto interessante, che però mette di fronte agli aspetti d’acerbità di un gruppo che, eliminati questi ultimi, può viversela tranquillamente e continuare a spaccare il culo al mondo.
(Mario Mucedola)
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