Ascoltare un disco ben scritto e decisamente ben suonato, come Incanto di Francesco Morello, per poi scoprire che la sua natura discografica rientra nell’enorme pila di album autoprodotti, mi lascia sempre con un “leggerissimo” mal di gola. Quasi come se in quest’Italia il “fatto in casa” sia l’unico modo per trovare un po’ di spessore artistico che non puzzi eccessivamente di plastica bruciata, come la maggior parte delle produzioni italiane e non.
Incanto è un disco essenziale, nella sua durata, ma corposo e fragrante come un buon tabacco da pipa di matrice inglese. Si inizia subito con “Intro”, una suite per quartetto d’archi che si rifà agli ultimi lavori di Paul McCartney con un capovolgimento ritmico improvviso che trascina la composizione sulle country/ballad. “Stelle” è un proseguimento musicalmente logico. Un singolo che per testo e melodia è assolutamente azzeccato, con una soffice velatura armonica che ricorda Niccolò Fabi nel suo album Novo Mesto. Finito il brano, si entra obbligatoriamente nella parte centrale del disco, composta da “Incanto pt. 1” e “Incanto pt. 2”. Una mossa azzardata che sicuramente impegna un po’ troppo l’ascoltatore medio, ma la sua composizione orchestrale, elemento distintivo del suo creatore, priva di lungaggini e ostentazioni musicali la rendono sicuramente la parte più bella del disco. Un intreccio di parole, groove delicati e sopraffini di batteria e arpeggi ipnotici di chitarra acustica. Una via di mezzo tra la canzone d’autore e l’impostazione classica tipica degli autori di colonne sonore per film frutto, quasi sicuramente, degli studi pianistici di Francesco Morello.
Il disco si chiude con “Preghiera”, una brevissima e onirica “sonata laica” per pianoforte che supera di netto, per la sua carica emotiva e per la onesta musicale, le composizioni melense di Allevi o Einaudi, e con passo felino si avvicina alla schiena, curva sui tasti del pianoforte, di Nino Rota.
Incanto è un album che lascia molto spazio alla voce degli strumenti. Secco e diretto, non perde tempo con inutili frasi prese a buon mercato e, nonostante alcuni difetti di mastering più che di missaggio, lascia piacevolmente soddisfatti. Il suo pregio più grande è il “climax” discendente che guida l’ascolto in una sola direzione non permettendo un ascolto distratto o superficiale.
In Italia abbiamo ancora qualcuno come Francesco Morello che rischia faccia e reputazione, inserendo in un normalissimo brano pop una composizione orchestrale tipica delle produzioni americane degli anni ‘40 e ’50.
(Alberto Minnella)