— Live Report@Circolo degli Artisti (Roma) 17/12/10 — (Guarda le foto)
All’inizio della serata si temeva il peggio. Un violento acquazzone si è abbattuto su Roma, intasando le ossa d’acqua e allagando la città eterna, dalle buche stradali eterne. Arrivo al Circolo degli Artisti che in avvitamento plastico potrei strizzarmi, e decido che nonostante gli ombrelloni parapioggia non è forse la mossa più saggia fumarsi una sigaretta, e consapevole di essere in ritardo di mezz’ora, entro in fretta e furia nella saletta. 14 persone. Strabuzzo gli occhi perché forse ho le lenti bagnate e non me ne accorgo ma no. Ci sono 14 persone ed io mi sento tremendamente figo. Un giorno potrò raccontare ai miei nipoti che loro nonno era così alternativo da frequentare concerti a cui andava davvero una manciata di persone. O potrò semplicemente lamentarmi quando i Non Voglio Che Clara cambieranno stile, ricordando loro che “Io vi seguo da quando eravamo quindici sotto il palco”. Che poi, effettivamente, la prima volta che li vidi non eravamo poi tantissimi, ma era un’altra situazione decisamente più inguaiata. Smette di piovere, e alla spicciolata arriva gente. Dalla scalinata per salire alla console del tecnico luci mi godo l’opening act. È proprio il caso di dire “godere”: Diana Tejera non la conoscevo, nella mia ignoranza pensavo fosse un gruppo “I Diana Tejera”. Invece si presenta sul palco una donna, una chitarra. E Andrea De Cesare al violino. E comincia a tirare fuori delle melodie così impressionanti che quando annuncia l’ultimo pezzo penso “Cazzo, è già passata mezz’ora?”. Va via, e salgono sul palco i Non Voglio Che Clara. Riesco ad arrivare in transenna agilmente, non fosse altro che così posso appoggiare il piumino, e mi metto in adorazione del quartetto veneto. Non sono certo degli animali da palcoscenico, ma il loro lavoro lo sanno fare eccome! C’è così tanto pathos nelle note di questi ragazzi che potrebbero venderlo insieme ai cd e alle magliette. Aprono con “Il tuo carattere e il mio” e “La mareggiata del ‘66”, brani (invertiti) con i quali si apre anche il nuovo lavoro dei ragazzi, intitolato “Dei Cani”. Sono visibilmente emozionati, e la voce di Fabio De Min spesso trema, sulle note più alte, e allora per vendetta tira fuori dal
cilindro ipotetico uno dei pezzi più vecchi e meno conosciuti del repertorio dei Non Voglio Che Clara: “Porno” e io la dovrei smettere di formulare congetture che poi son sempre a mio favore, anche quando mi sembra evidente, anche quando non c’è niente, perché probabilmente la fanno sempre e si divertono a farla. Dopo “Secoli” tornano ancora indietro nel tempo, addirittura ad Hotel Tivoli, al 2004 (musicalmente un’era fa) per riproporre “Le paure”. Poi, non volendo inanellano una doppia citazione cinematografica. “Il dramma della gelosia”, ispirata da un film di Ettore Scola (come lo stesso Fabio dirà dal palco) e il momento-lacrima con “Cary Grant”, sulla fine della quale salutano i Massimo Volume gridando “Scuoti i tuoi angeli drogati, Fausto”. Si godono l’applauso giustamente tributato loro da tutto il Circolo e si fermano un attimo. Benché non si sia ad un concerto rockspaccotutto, i ritmi sono da quel genere di live. Serratissimi. Si riparte infatti con “Le Guerre”, e immediatamente dopo “Tu, la ragazza l’ami?” sulla quale si fanno apprezzare benissimo le qualità dei singoli elementi, anche nella parte centrale noiseabbestia. Si riparte tranquilli con “Sottile”, che meriterebbe un monumento da quanto è struggentemente malinconica, e “La Stagione Buona” chiude il disco e anche la prima parte del concerto. Acclamati, rientrano poco dopo sul palco, visibilmente provati da ore di autostrade e un concerto nel quale hanno dato davvero tutto, ma non è ancora abbastanza. Ci regalano “L’inconsolabile”, che già di per sé è figa, decisamente figa, ma vederla suonare dal vivo e pensare che cazzo, è identica! ti dà bene la cifra di quel che hai appena visto. Con “L’Estate” mi rendo conto della differenza fondamentale tra Baustelle-Amor Fou-Non Voglio Che Clara. La melodia di questo pezzo è decisamente à la Bianconi, ma fare un pezzo “come” non significa “fare i pezzi di”. E di sicuro i Non Voglio Che Clara, parlando di testi, sono avanti anni luce rispetto agli Amor Fou, sperando che non si offendano i loro fan. “Gli anni dell’università” chiudono il live, e quando mi giro per uscire mi accorgo che c’è davvero tanta gente. E me ne vado a fare l’alternativo da un’altra parte.
—- Intervista a Fabio De Min —-
Domanda secca, è più che altro una curiosità mia, e sicuramente ve l’avranno già chiesto milioni di volte. Chi è Clara?
È vero, ce l’han già chiesto milioni di volte e non siamo riusciti ancora a trovare una risposta dignitosa, nel senso che – come spesso accade – il nome nasce da una frase per caso, ti piace, te la tieni e poi magari qualche significato glielo trovi dopo. Nel nostro caso abbiam pensato che quella frase illustrasse bene la nostra musica, almeno all’inizio, e quindi c’è un po’di suggestione legata alla figura femminile, ci sono un po’di elementi come la negazione e la volontà, insomma ci sembrava che stesse bene come nome con la nostra musica ma Clara è una persona totalmente immaginaria.
Com’è nata la collaborazione con Giulio Ragno Favero, che ha prodotto il vostro disco?
Giulio lo conosco da diversi anni per vari motivi, anche di amicizia. Gli abbiamo chiesto di partecipare al progetto perché volevamo una persona a cui affidare completamente i nostri pezzi una volta che eravamo stati in studio, affidarli ad una persona esterna che avesse comunque la preparazione e, insomma, anche la testa per prendere un progetto intero e metterci mano. E secondo me Giulio, a parte esser stati molto contenti del lavoro che ha fatto, pensavamo fosse la persona giusta per fare questo tipo di lavoro, ritengo sia uno dei migliori tecnici in Italia, oltre che uno dei migliori musicisti italiani. Sostanzialmente l’abbiamo scelto perché è bravo.
Voi siete di Belluno, nel cuore del Veneto. E in Veneto si bestemmia pesantemente. Dei Cani è una bestemmia politeista?
Eh, in qualche modo c’entra. Nel senso che la suggestione legata al cane nasce dall’opera di Majakovskij. Lui utilizza spesso questa figura nella sua poesia solitamente per delineare dei personaggi o degli stati d’animo in cui si è un po’distaccati dal contesto in cui si è, quindi dalla gente…e poi in quel momento stava cercando di portare avanti la rivoluzione culturale, per cui si sentiva probabilmente distaccato dal resto dell’«intellettualesimo» russo, e allo stesso tempo si sentiva un po’denigrato. Per cui usava questa figura molto spesso. Tornando invece al disco, la lavorazione è durata un paio d’anni. Lungo questo percorso, il mio approccio con i testi, il mio approccio con le canzoni che stavo scrivendo è un po’cambiato, nel senso che ho cominciato a sviluppare più piani narrativi, non soltanto la storia che stavo raccontando ma anche, a un certo punto, ho pensato a come avrebbe reagito il personaggio, come avrebbe reagito la gente rispetto a quello che fa il personaggio…ho iniziato ad infilare un po’delle componenti socio-culturali legate all’accoglienza che avrebbe avuto questa storia presso la gente, il ben pensare, il pensiero comune, i luoghi comuni, la morale cristiana e quanto queste cose influenzino poi le tue azioni o quantomeno ne diano un po’la giustificazione o la lettura. Trovo che, per esempio, la morale cristiana, anche senza essere cristiano, alla fine ne siamo totalmente saturi, finisca con il darci false letture di molte cose. Per cui, tutto sommato, alla fine della fiera, anche la bestemmia politeista ci sta, nel senso che, per quanto mi riguarda, un mondo senza quel tipo di filtro, ci permetterebbe di vivere le cose in maniera diversa, più giusta.
Sempre più spesso i musicisti di oggi parlano di vita comune, sociale e politica, a partire dagli sfigati “illuminati” per finire con i gruppi decisamente più seri. Quali sono invece le fonti di ispirazione più stimolanti per i Non Voglio che Clara?
Mah, spesso le canzoni nascono da piccole situazioni, piccoli pensieri, a volte magari immagino una storia e cerco di capire come reagirei io se ci fossi dentro. Tendenzialmente tendo a scrivere una storia, faccio sì che il brano racconti comunque qualcosa, e cerco di relazionarmi con quello che sta succedendo. I brani non sono mai autobiografici ma il punto di vista è sempre il mio.
Devo essere onesto. Quando ascolto le vostre canzoni cerco di stare attento alle immagini, ma poi mi perdo e non ci capisco molto. Però c’è un’immagine che mi ha colpito parecchio, che mi è rimasta particolarmente impressa, ed è quella del ritrovarsi senza cane e senza lavoro. Come vi è venuta?
Beh, a parte che era un periodo che io stavo cambiando, stavo lasciando il lavoro per dedicarmi alla musica, quindi inconsciamente questa cosa ha influenzato la scrittura di ‘sto pezzo. Tutto sommato rientra nella storia che sto raccontando e serve solo per caricare ancora di più di disperazione la storia che sta vivendo il personaggio.
Da più parti si sente accostare Dei Cani a I mistici dell’Occidente dei Baustelle e I Moralisti degli Amor Fou. Io ci metterei anche un pizzico di Dente quanto basta. Cosa ne pensate di questi accostamenti, hanno una qualche valenza per il vostro percorso artistico, o fondamentalmente i giornalisti musicali non ci hanno capito un beneamato?
Dunque…sta cosa dei Baustelle salta fuori spesso, e ho letto anche delle sue interviste dove lui dichiara il suo percorso di ascolti precedente alla sua attività artistica, e mi ci ritrovo abbastanza. Quindi credo che con Francesco abbiamo comunque degli ascolti in comune, e anche forse un tentativo comune di fare determinate cose, magari di riportare un po’di quelle influenze all’interno della nostra musica. Gli Amor Fou non li conosco, non ho sentito il loro disco, Dente lo trovo bravo però non so, lo vedo abbastanza distante da quello che cerchiamo di fare noi. Poi sono anche un ascoltatore abbastanza distratto di quello che mi succede attorno. Magari “I mistici dell’Occidente” me lo ascolterò il prossimo anno facilmente, perché mentre sto scrivendo ascolto poche cose, soprattutto in italiano. Che abbiano una valenza a livello di influenza, onestamente, mi sento di dire di no. Che magari ci sia qualcosa che ci assomiglia, questo può anche essere. A maggior ragione condividendo gli stessi ascolti, lo stesso percorso, è normale che le cose à la Gainsbourg, nel suo disco le sento come le sento nel mio, credo l’accostamento sia naturale.
Spesso la voce è registrata con (credo) un microfono per armonica a bocca, che taglia alcune frequenze e rende la voce “radiofonica”, o meglio, come se si stesse ascoltando la radio diversi anni fa. A cosa è dovuta questa scelta?
Si tratta di una scelta di post-produzione, alla fine si tagliano le frequenze basse, si restringe il range di frequenze per dare quella cosa che dici tu. È comunque un procedimento che uso…che ha usato Giulio in questo caso, ma che nei lavori che registro io uso per allontanare la fonte, quindi tutto sommato potremmo riassumere che questo stratagemma serve un po’per “spostare il piano” e avere la narrazione che viene da un altro piano rispetto alla musica. Il fatto di averla effettata molto la rende più distante, insomma, come se fosse una voce fuori campo.
Gli amori di gioventù è una sorta di inno ai ricordi che restano sotto pelle. E per meglio sottolineare questa condizione patinata e ingiallita ma viva, l’arrangiamento è vagamente caraibico, quasi à la Capossela. Cosa ci dite a proposito di questo pezzo?
In realtà pensavo più ad Endrigo, e alle sue cose più vicine alla musica popolare, come “Viva Maddalena” piuttosto che “La prima compagnia”, queste cose qua. Mi piaceva l’idea di scrivere un pezzo che è la storia di una rivincita, una persona che viene rifiutata tipo dieci anni fa, poi dopo dieci anni si incontra con questa persona ed è lei a cercarti. Questa è l’idea di fondo. Mi piaceva la collocazione all’interno della festa patronale, che da noi è una cosa…d’estate c’è una festa patronale ogni settimana, è uno spazio in cui ci si incontra spesso, e forse l’arrangiamento m’è venuto proprio in virtù di questa cosa qui: è un po’legato all’idea di salto nel passato, e un po’legato all’idea di festa paesana.
Ve l’hanno mai detto che “E tu quassù tornasti più” di L’estate ha una linea melodica praticamente identica a “Go on, go on, just walk away. Go on, go on, your choice is made” di In between days dei Cure?
Si, è identico! Me ne sono accorto prima di…a parte che la risposta è “Si, me l’han già detto”. Si, ci assomiglia un sacco.
Nel disco manca il pezzo che ha avvisato il mondo indie del ritorno dei Non Voglio che Clara, ovvero “Tu, la ragazza l’ami?”. Perché questo pezzo è stato escluso, pur risultando molto immediato, a differenza di diversi pezzi del disco che sono da ascoltare più volte prima di digerirli?
Perché alla fine ci sembrava che la scaletta fosse più completa non utilizzando quel pezzo. Sembrava che fosse più fuori contesto rispetto ai temi del disco, e magari è anche una scelta sbagliata! Noi adesso la suoniamo regolarmente dal vivo, per cui è un pezzo che di fatto appartiene comunque al disco, anche se non c’è. Non è l’unico escluso, fuori ce ne son rimasti altri due, più o meno per lo stesso motivo. Ne è rimasta fuori una che per il percorso che ha avuto il disco è stata un’esclusione abbastanza clamorosa, perché doveva essere un pezzo centrale…
Li sentiremo mai questi pezzi?
Si, penso proprio di si. Li recupereremo.
(Mario Mucedola)
Foto: Luca Carlino