Metter su l’EP degli Effetto Catherine, magari ascoltarlo nel lettore mp3 mentre si è in giro per Roma, equivale sostanzialmente a sentirsi protagonisti di un film. Di quei film che tanto piacciono ai giovani d’oggi, con il Muccino di turno che corre disperato alla ricerca della sua donna, la trova e ci fa all’amore. Ma chi è Catherine? Catherine è la Jeanne Moreau di “Jules e Jim”, il capolavoro di François Truffaut, dove la Moreau interpreta il ruolo di una donna prepotentemente sensuale e passionale, che con la sola forza dello sguardo e del sorriso mette in scena il primo triangolo amoroso della storia del cinema moderno, inseguendo l’amore nella sua forma più disincantata e provocatoria. E se il buon Truffaut potesse ri-girare il suo film, probabilmente adotterebbe questo EP come colonna sonora. Due sole persone, Giuseppe Terra al piano e Davide Iacono alla batteria, riescono a concepire molto più di quegli eserciti di 16 elementi che infestano le orecchie ad ogni piè sospinto. In questo disco c’è tutto: passione, voluttà, fermezza risoluta, poesia, atmosfere a tratti ambient, a tratti jazz, a tratti pop, tanto che spesso ascoltandolo ho avuto la sensazione di aver impostato male il lettore e che per errore fossero partiti gli Esbjorn Svensson Trio, tanta è la carica emotiva di ogni singolo brano. Indubbiamente (per chi ascolta) “Le labbra” è un po’ la punta di diamante del lavoro, che con niente rimanda a “Dodge the Dodo” dei succitati svedesi, con la sua impazienza di comunicare qualcosa esonerandosi dallo schema intro-strofa-ritornello-strofa-bridge-ritornello-ritornello. Tra un pezzo e l’altro la voce della Moreau, e poi ancora batteria, e ancora piano, come in “Avril 14th”, un pezzo che potrebbe essere il risultato di un eventuale featuring tra Ludovico Einaudi ed i Coldplay, con il rullante che verso la fine assume il tono solenne di una marcetta militare, ed il piano che si perde nel labirinto di tasti. Ed il labirinto è anche la parola chiave per introdurre “Ovunque tu sia”, dove invece sono più marcate le influenze dei Radiohead, con quell’incedere lento e soffocante che fa tanto “Pyramid Song” oppure “Everything in its right place”, ma sempre mantenendo i suoni puliti, non effettati, come a ribadire che se il pianoforte è chiamato “strumento principe” ci sarà un motivo.
Un lavoro indubbiamente apprezzabile, ed indubbiamente di grande impatto musicale che ci dimostra ancora una volta, se mai fosse necessario, che la definizione di “genere” è una stupidaggine per addetti ai lavori ottusi. Largo all’ispirazione più pura ed autentica, largo agli Effetto Catherine.
(Mario Mucedola)