Ti capita mai di acquistare un libro soltanto dal titolo o dalla copertina? Potrebbe sembrare un giochino stupido e superficiale però dipende, dipende se chi ha curato titolo e copertina lo ha fatto in modo superficiale o meno. Nel primo caso ti ritroverai a sfogliare e leggere un libro praticamente diverso da ciò che avevi immaginato e che nel migliore dei casi verrà prestato o riciclato come regalo.
L’album dei Nihil Est appartiene quasi del tutto alla seconda categoria, quella categoria di progetti “artistici” dentro i quali ogni dettaglio è importante e scelto con cura. Il titolo dell’album, Nuvole Notturne, rispecchia appieno il suo contenuto; Nuvole sonore in lento movimento che attraversano cieli notturni, danzando libere e discrete al riparo da occhi indiscreti. Chi scorge quelle nuvole lo fa proprio con una certa sensibilità, entrando in punta di piedi ascoltando i sussurri delle loro storie acustiche che poggiano i piedi su tappeti synthetici; L’agreste “I Ciliegi” (“al ritorno dall’orto sentire i falchetti pigolare/ stare zitti quando gatti girano per tetti/ come andrei per more se il mio corpo non mi avesse imprigionato”) schizza all’improvviso gocce post-rock prima di ritornare sul proprio sentiero elettro-acustico. Viaggia su territori indietronici “Nuvole notturne” nella quale i toni si fanno leggermente più sostenuti rispetto agli altri brani così come “Il Fuoco”, con i suoi beat sembra omaggiare il periodo più sperimentale dei Radiohead (“Packt Like Sardines In A Crushd Tin Box” di Amnesiac) mentre un piccolo tesoro è nascosto nella scia finale di “L’estasi di Santa Teresa” nella quale tutto diventa lirico ed arioso grazie anche e soprattutto al malinconico violino. “Vicoli bui” incontra la delicatezza dei Perturbazione di “In Circolo” anche se manca quell’approccio squisitamente “pop” e orecchiabile che ai torinesi sembra venir naturale. Il finale si chiude con due lunghi brani, il down tempo struggente di “Adrian” (“Il mio fegato l’ho buttato/dove il tuo cuore ho posato/da quel giorno che s’è fermato mi sono perduto e sempre spiaggiato”) dove ambientazioni oniriche incontrano certo post-rock nord europeo, e dalla lunga, forse troppo, “Dieci minuti al telefono”; conversazione, o meglio monologo surreale incentrato su una richiesta fatta “dall’omino fatto di niente”. la durata del brano invita un po’ a mandare avanti e un po’ a proseguire nell’ascolto per capire come va a finire la storia, nel secondo caso ci si ritrova da metà brano in poi con una lunga partitura strumentale che sembra riallacciarsi al finale de “L’estasi di S. Teresa”.
L’esordio dei Nihil Est mostra molte qualità, nei testi come nelle strutture sonore, ma manca di quei guizzi che ti permettono di memorizzarne i brani, i quali riescono a ritagliarsi degli spazi dentro di te ma senza restarci a lungo, un po’ come quei libri affascinanti, dalla copertina curata ed il titolo evocativo, con un lessico ricercato ma dalla storia non immediata ed il finale diverso da ciò che ci si aspettava.
(Antonio Capone)
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