Bologna 11/11/10.
Vai ad un concerto infra settimanale e molto spesso, anzi quasi sempre, ci vai con la consapevolezza che il giorno dopo sarà il computer a scuoterti ogni 15 minuti per non attivare il tuo screensaver e non viceversa, ma stasera all’Estragon suonano gli Anathema che per il sottoscritto sono molto più di una buona band che arriva in città a suonare, sono un vaso di Pandora stipato di emozioni che ogni tanto deve aprirsi, prendere aria e ricordarmi il bello ed il brutto della vita. Non appena sono dentro al locale scorgo Danny tra il pubblico, ancora esiguo in verità, tranquillo e disponibile nel farsi fare foto e regalare sorrisi.
Purtroppo non sapendo che prima della band inglese ci fossero ben due esibizioni mi perdo quasi tutto Petter Carlsen il quale mi ricorda per quel poco che ho ascoltato le atmosfere Antimmatteriane periodo Planetary Confinement, a torto però ascoltando successivamente alcuni suoi brani su Myspace.
Tempo 1o minuti di pausa e sul palco ci sono i The Ocean; per chi non li conosce (io sono uno di questi) suonano una sorta di prog metal molto aggressivo ma aperto e ben disposto a melodie orecchiabili, dal cantanto che alterna voce pulita e growl che personalmente non apprezzo, difatti mi hanno provocato pruriti e dermatite sul corpo; sarà che sono allergico a questo tipo di vocalizzi però devo ammettere che, escluso l’inconveniente vocale urlato, mi hanno impressionato sia sul piano musicale che di tenuta del palco. Di sicuro sono stati croce e delizia per i fotografi nel sottopalco i quali tra uno scatto al chitarrista semi-epilettico ed al cantante-scimmia (nel senso che saltava in qualsiasi punto del palco e non) dovevano scansarsi anche dalle scudisciate del filo del suo microfono.
Ok, mezzora ben spesa ed esaurita, bravi bravi senza bis perchè vogliamo i Cavanagh sul palco i quali non si fanno attendendere molto sul palco anche perchè in ritardo sui tempi “tecnici” (non per colpa loro ma per volontà del locale di non iniziare prima i concerti), difatti dalla scaletta verrà depennata “One last Goodbye” e non avranno nemmeno modo di fare una pausa per il bis finale.
La band parte decisa ed infila, l’uno dietro l’altro, i primi quattro brani tratti da Judgement (“Deep” – “Pitiless” – “Forgotten hopes” – “Destiny is dead”) e faranno passi indietro nel tempo che non andranno oltre Alternative 4. Danny è il più “colloquiale” e rilassato, anche se al terzo brano farà accomodare, con un eloquente gesto del braccio, i fotografi dietro le transenne; Vince soffre un po’ all’inzio, forse per i flash maleducati ed invadenti, forse per la sana tensione di inizio concerto; Jamie è, dei tre fratelli, quello meno esibizionista, diligente e con il volume del proprio strumento un po’ in ombra, finisce che si farà notare per altro, fischiando a inizio concerto a mò di pastore sardo contro due molestatori ubriachi. I due si placheranno e Jamie tornerà nel suo cono d’ombra.
I nostri, dato il ritardo accumulato, fanno un sorta di medley facendo sfociare un brano dentro l’altro, alternando brani di Alternative 4 (“Empty” e “Destiny”) a quelli di A Natural Disaster (“Lost Control“ e “Balance”) fino ad arrivare al brano forse più sperimentale e fuori dalle corde sonore della band; “Closer”, anche su questo brano c’è un piccolo problema iniziale alla tastiera con la quale Vince filtra la sua voce da perfetto “Ragazzo A”. Il picco emozionale arriverà qualche canzone più tardi con “Flying”. Un brano forse trai i più struggenti cantati da Vince, e sicuramente tra i più toccanti per chi stava di fronte al palco soprattutto quando i ragazzi della band girano i microfoni dalla nostra parte. A suggellare la prima parte dello spettacolo ci pensa il solo Danny, mentre gli altri cercano di riposarsi qualche minuto, con in braccio una chitarra acustica con la quale intonerà e dedicherà “Are you there?” ad un fan venuto ad assistere al concerto nonostante il lutto di un parente.
La seconda parte del concerto si rivelerà una sorpresa, nel bene e nel male, per il pubblico; Vincent annuncia che per la prima volta in Italia verrà eseguito per intero l’ultimo album We are here because we’re here. Scelta coraggiosa che si rivelerà però leggermente infelice, per chi assiste, da “Get off, get out” in poi; anche su disco la seconda parte, con le sue armonie dilatate e lunghe, resta sotto tono rispetto alla sua prima metà. Merita un applauso e un baciamano anche l’esibizione di Lee Douglas, sarebbe più opportno definirla “apparizione”, nei due brani “Everything” e “A simple Mistake”; voce affascinante e perfetta che meriterebbe più spazio nelle composizioni dei Cavanagh.
Il risveglio… ehm il finale è affidato ad un altro pezzo da 90; “Fragile dreams” scuote il locale e mette in moto la modalità karaoke verso il finale prima dell’uscita di scena. I volti sul palco sono pieni di sorrisi e soddisfazione, quelli in platea felici e un po’ malinconici, il fuoco musicale ha smesso di bruciare, almeno per stasera, il mio vaso si è richiuso e possiamo dire di essere stati quì perchè lo volevamo e non perchè siamo capitati per caso.
(Antonio Capone)
Foto: Anna Blosi
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Milano 14/11/10
Raggiungo i Magazzini Generali attraversando una città, Milano, bloccata dalla febbre da derby.
Quando entro la fila all’ingresso è già lunga, ma io passo e vado verso i camerini, accompagnato da Fabio Vergani, gentile e disponibile organizzatore dell’evento, e lì incontro Daniel Cavanagh, chitarrista e fondatore degli Anathema. Gli consegno una bottiglia di vino ma lui gentilmente mi fa sapere che la regalerà agli organizzatori.
D: ho avuto troppi problemi col vino (ride, ndr)
Ci sediamo e cominciamo.
M: Ciao Danny.
Ciao Marco.
“We are Here because we are here”. Per cosa sta? Auto-affermazione? Consapevolezza della propria identità?
Cosa rappresenta?! Beh… riguarda la relazione tra la “band” e la “famiglia”. Tutti nella band siamo stretti da un legame di sangue e d’amore, e il titolo riflette questo concetto perché è la stessa canzone che viene cantata da tutte le persone in un mondo di cui anche noi facciamo parte. E’ come abbracciare tutti e raccontare delle cose che abbiamo vissuto e dei posti in cui siamo cresciuti.
È un gran titolo… e l’album ha anche una bellissima cover…
Sì… è una scultura sulla spiaggia di Liverpool. Si chiama ANOTHER PLACE… una splendida e suggestiva installazione che meglio si adattava al senso che volevamo dare all’album.
[Trattasi di un’installazione di Antony Gormley che si distende per 2 miglia sulla spiaggia di Liverpool, costituita da 100 statue di ghisa rivolte verso il Mare d’Irlanda, ndr]
Ho sentito che avete avuto problemi con le etichette. Che tipo di problemi?
Abbiamo avuto difficoltà a fare accettare il nuovo sound della band alle diverse etichette a cui abbiamo proposto il lavoro. Non tutti sono disposti ad accettare una maturazione, un cambiamento da parte tua. E non è stato facile trovare una buona label per promuovere un lavoro di cui siamo assolutamente soddisfatti e orgogliosi.
Quando l’ho letto non riuscivo a crederci… siete gli Anathema, una delle migliori rock band del mondo…
Beh sì… ma non una delle più grandi! (ride, ndr)
Mi sembra davvero curioso. Forse hai ragione tu… eppure siete una band con un’identità. Con un suono che vi rende riconoscibili…
Quello che proviamo a fare è musica che sia “vera”. Facciamo ciò che vogliamo fare, e proviamo sempre ad essere ciò che vogliamo essere. E continueremo a farlo. Perciò il resto è poco importante.
e penso che la gente che vi ascolta vi ami proprio per questo.
lo spero. È di certo la cosa più gratificante.
Questo album è un trionfo di tempi e accenti irregolari. La polimetria è molto interessante e si apprezza molto nel mix 5.1 fatto per il DVD. C’è qualche particolare artista che vi ha influenzato, come i Radiohead per Kid A, in questa scelta o è una ricerca spontanea la vostra?
Sicuramente siamo sempre influenzati da tantissimi artisti… ma non saprei darti dei nomi. E’ difficile perché ognuno di noi della band è influenzato da altri musicisti e altre band. Però posso dirti che io preferisco i classici!
Ma c’è un album che in particolare negli ultimi anni ti ha colpito più di tutti?
TAKK de Sigur Rós è l’utlimo album che mi ha veramente toccato !
Hai dei gran gusti musicali sai?
Anche tu (ride,ndr)
I vostri testi erano molto scuri ma con il passare del tempo sono diventati più ottimisti. Ascoltandoli sembra che abbiate seguito un percorso di crescita non solo musicale ma anche spirituale…
E’ vero. O almeno, per me è proprio così. Ho provato a seguire un percorso in cui potessi sentirmi parte della natura che mi circonda. Un percorso in cui ho cercato la pace interiore e la pace in ciò che mi sta intorno. E’ un percorso difficile e ti porta a confrontarti ogni giorno con tutto e tutti. Non è da considerarsi un percorso spirituale in senso religioso, piuttosto una strada che ti conduce ad acquistare una più profonda consapevolezza della natura e della vita. A trovare la tua dimensione in esse. Questa ricerca ti rende più propositivo e creativo e ti da grandi stimoli a rendere più bella questa vita. Tutte le emozioni di questa ricerca, possono darti grande ispirazione, quanto un oceano. In cui anche i pensieri scuri come ombre, possono essere onde. Ti trovi a concepire anche il “divertirsi” in modo differente. E’ anche così che abbiamo smesso tutti nella band di bere. Riuscire a mettersi alle spalle certe cose ti fa sentire più potente e più padrone di te stesso, ti da una visione più ampia di ciò che ti sta intorno.
Ed è per questo che l’album è così speciale. Perché è pieno di vita e penso che la musica di cui è composto sia la più semplice e naturale che abbia mai scritto e che forse scriverò mai. In particolare la canzone Hindsight. Lo definirei un pezzo “cruciale”… ne sono molto fiero. Come del resto dell’album.
Tutti quanti nella band siamo convinti di aver scritto dei grandi pezzi…
È molto bello conoscere i retroscena della creazione di un album. C’è forse più di quanto pensavate.
Forse è così. Sai, ognuno ha la propria visione delle cose e ognuno mette lì le proprie esperienze. Siamo come una famiglia. Anzi siamo una famiglia dentro una famiglia. Si creano delle “logical structures” e dei meccanismi nonostante ognuno metta la propria identità e il proprio essere artista all’interno di questo gruppo. Siamo tutti diversi, abbiamo punti di vista diversi e proviamo ogni giorno a metterli insieme, a renderli parti di un unico pensiero e qualche volta è molto difficile. Forse la mia sfida è questa. Unire le parti. Metterle insieme.
mi lasci senza parole
(ride)
È difficile, per la gente comune, pensare in questo modo a delle rock star come voi!
forse sì… ma alla fine siamo, come tutti, un’insieme di emozioni e sentimenti… abbiamo una struttura definita come qualsiasi gruppo di amici o fratelli, abbiamo le nostre dinamiche.
In fondo penso che i vostri fans vi vedano così. Riuscite a fare, dei pensieri anche più semplici, degli ottimi spunti di riflessione. E questo è un altro punto per cui credo siate così amati. Ma dimmi, avete attraversato gli anni 90… cosa è cambiato con internet?
Oh, la tecnologia ha fatto passi in avanti con una velocità incontrollabile. Tutto è diventato più facile e più…. Se penso alle cose migliori mi viene in mente il fatto che un padre possa parlare con sua figlia dall’altro capo del mondo in qualsiasi momento. Che la comunicazione sia alla portata di tutti. Che si possano vedere video e immagini e ascoltare musica con maggiore libertà. Ma è una domanda bellissima a cui mi piacerebbe rispondere e chiacchierarci su pe r ore e ore… ma tra poco ho un concerto (ride, ndr)
Ok Daniel, passiamo allora alle ultime 3 domande. Qualche “stupid funny question”. Chi canta “What about dogs, what about cats, what about chicken” nella ghost track di A fine day to exit?
Ahahahah… non me l’ha mai chiesto nessuno!!! E’ un’idea di quel genio pazzo di John Douglas (attuale batterista della band, ndr)…
Conosci qualcosa della scena musicale italiana?
No
vai tranquillo… non ti insulterò!
(ride, ndr) a dirti la verità no! Adoro stare qui, è un paese molto bello. Conosco e mi piace molto il cibo… ma mi spiace molto. Non conosco la musica italiana. Solo qualche classico…
Ok… non ti preoccupare. Adesso ti faccio l’ultima domanda e puoi anche picchiarmi!
(ride, ndr) Non lo farò, prometto.
Questa è la prima volta che ascolto un vostro live. Ho sempre avuto un pregiudizio sulla vostra musica. Poi ho ascoltato l’ultimo album e mi sono pentito. Se dovessi descrivere a qualcuno che tipo di band siete e dovessi incoraggiarli ad ascoltarti come se fossi una band emergente cosa diresti?
Che siamo una potente ed intensa rock band.
Grazie Daniel. Alla prossima, e come si dice qui da noi “spaccate tutto”.
Cosa vuol dire?
è come “Keep on Rock”!
Grande. Allora “spacchiamo tutto”! Grazie a te e a Shiver.
Ci congediamo con una stretta di mano.
Mi ringrazia ancora per la bottiglia di vino, mi chiede se ho bisogno di qualcosa e svanisce dietro il palco.
(Marco Antoci D’Agostino)
Foto: Carlo De Filippo