Ecco al suo esordio una giovane cantautrice. Classe 1987, nata a Pesaro, amante della Storia Medievale, dei Santi e delle eroine. La sua non è una passione, ma una vera e propria ossessione, basti guardare l’artwork del disco per rendersene subito conto e, se non bastasse, date un’occhiata al suo braccio… Ma il suo non è un approccio tanto religioso alla vita degli spiriti più elevati e coraggiosi di un tempo, quanto pura poesia, filosofia, ovvero le ultime ancore di salvezza in un universo ormai troppo contaminato.
Ha iniziato a scrivere quando aveva tredici anni per sentirsi meno sola ma anche più vicina alle sue beniamine: Giovanna d’Arco in primis, cui dedica una traccia di questo lavoro (“Joan of Arc”). Ricorda tanto Leonard Cohen, anch’egli ossessionato dalla vita dei santi; decantò prima di lei la giovane eretica divenuta poi santa.
Trascorre le giornate così, scrivendo canzoni, ascoltando le Riot Girl e leggendo le poesie di un’altra beniamina, la poetessa suicida Sylvia Plath; anche a quest’ultima spetta un brano del disco (“Sylvia Plath”). Tutte queste influenze si percepiscono assai nei testi, cui attribuisce un’importanza suprema; è attraverso la scrittura infatti che ella eleva il suo spirito dannato in cerca di redenzione. Sì perché Marie Antoinette, pseudonimo di Letizia Cesarini, è un’anima dannata e veste i panni di una Santa che ha ancora la voglia di sperare e pregare. Vive di passioni e canta di dolori che rigurgita nelle sue canzoni attraverso la sua personalissima esperienza. Ha molta personalità questa ragazza, ed è sicura di sé nonostante la vulnerabilità e la sofferenza di cui parla, in cui vive.
In questo album manifesta con notevole ardore tutte le sue potenzialità. Si tratta di un disco folk-rock, autoprodotto (in seguito all’incontro di Letizia con Bob Corn durante un concerto delle Parenthetichal Girls). Accompagna la sua voce, spesso sdoppiata, con chitarra, glockenspiel e poche percussioni; è un cantautorato scarno il suo ma che trae tutta la forza dalla carica disarmante dei testi e delle emozioni che sfumano in ruvidi e dolciastri precipizi punk.
Dentro troviamo tutta l’energia di molte artiste, come la prima Cat Power, CocoRosie, Pj Harvey, ma anche quell’alone incantato di cui sono intrise le atmosfere di Joanna Newsom.
Otto tracce, nemmeno venti minuti di musica, un disco breve ma intenso, quasi urgente, dove non conta il numero delle parole che dilatano inutilmente il tempo; ciò che conta è la necessità di sputare fuori tutta la rabbia sedimentata nelle viscere.
Esiste ancora il sentimento della speranza in Marie Antoinette, si chiede quando arriverà qualcosa di buono anche per lei, perché dev’esserci ancora qualcosa di buono afferma in “Clean”. Il lo-fi malinconico di “One” invece incede in un elenco numerato fino a toccare il fondo del precipizio. Prega Marie Antoinette, prega affinchè dall’alto della sua verginità qualcuno perdoni le sue scopate (“Daughter”). I Want to Be Thin è uno dei desideri che rincorre, insieme alla bellezza e alla purezza durante un dialogo con Dio. Chissà quali sono le “Pills” di cui parla, capaci di sopprimere non solo l’appetito ma anche i sentimenti di disgusto che prova verso di sè. Marie Antoinette non è una Santa, ha molto da farsi perdonare ma non ha paura e potreste anche metterla al rogo ma questo non le impedirebbe di mostrarsi a tutti per ciò che è (“I’m Not Clever”). Provate a definirla…
Chissà…magari tra qualche tempo la potremo annoverare in un’ipotetica lista insieme alle sue beniamine, ma solo in seguito ai futuri lavori saremo in grado di stabilire il massimo comune denominatore. (Nel peggiore dei casi sarà per il taglio di capelli o il tatuaggio più bello!)
Per adesso resta un’esordiente dal fascino accattivante che…Wants to suck your blood.
(Valentina Blundo)