Noi giovani degli anni zero siamo abituati alla frenesia e alla continua evoluzione tecnologica, un continuo progredire che non conosce freni ma forse aveva ragione Robin Proper Sheppard dei Sophia con quel “Technology won’t save us”.
Già, forse la tecnologia non ci salverà; non sò se questi Maybe I’m… l’hanno vista proprio in questo modo, ma il loro è un rock “primordiale” fatto di corde, percussioni, legno e fango. Iniziato come progetto solista nel 2007, i Maybe I’m prendono lentamente forma, fino a raggiungere la stabilità con Antonio Marino (voce e percussioni), Ferdinando Farro (voce e chitarra), Clara Foglia (violino e percussioni) i quali danno vita a questo We must stop you, auto-prodotto, auto-registrato e auto- mixato, un disco fatto “a mano” magari più per necessità che per scelta che conferisce all’album quel che di “artigianale”.
La voluta “scarnificazione” del suono è la colonna portante di “We must stop you”, in bilico tra psichedelia folk e uno “spaghetti western”, come ci dimostra “Pail full of water” che sembra una ballata di cowboy ubriachi, forse la secchia non era piena d’acqua. Si alternano momenti quasi “noise” con “Carpet drainage”, urlata, quasi “vomitata” alle atmosfere più “crepuscolari” di “Fall” dove pochi e semplici accordi accompagnano la voce, questa volta bassa e quasi tremante, che viene superata solo da una fugace chitarra elettrica che sembra provenire dalle corde di Xabier Iriondo. Nella title track “We must stop you” si hanno percussioni tribali e un’organo “impazzito” che non cesseranno prima di aver inalzato un “muro” di “rumore”.
Mi rendo conto però di come riesce bene a questi Maybe I’m… suonare con meno “nervosismo”, pure la voce è più convincente quando è pulita, è il caso di “A secret lake”; si sente solo il “vento” e le campane che non smettono mai di suonare, tutto sembra meno scontato anche se di grande semplicità. Non è niente di particolarmente nuovo, nessun capolavoro ma è un ritorno alle radici fatto nel modo più sincero e umano possibile.
(Andrea Tamburini)