Questa riflessione nasce in seguito alla lettura di un articolo pubblicato sul numero di Repubblica del sabato 9 Ottobre scorso ad opera di Gino Castaldo intitolato “E’ sempre la stessa musica”. L’articolo di Castaldo sostiene la tesi che il mondo del rock attuale è ai ferri corti a testimonianza di un continua ripetizione musicale dominata dai vecchi ragazzi degli anni sessanta e settanta, gli dei dell’olimpo rock che ogni tanto guardano giù, in direzione della terra e danno via a storiche reunion.
A questo punto sorge spontanea la domanda “ma il rock che cos’è? Qual era lo spirito dei primi giovani che lo suonavano?” Ad inizio anni cinquanta, in America, il rock era la musica dei ribelli, dei disadattati, a volte anche degli avanzi di galera che prendendo a piene mani dal blues e dalla musica country ha saputo fonderle insieme ottenendo una nuovo genere musicale unendo via via canzoni intimiste a quelle di protesta, ritmi sporchi con quelli più raffinati. Fin dalla culla il rock era sperimentazione e si univa alla liberazione dell’individuo sia stata essa di tipo sessuale oppure mentale.
Questo tipo di musica, scrive Castaldo, è nato dalla “più potente frattura generazionale che si sia creata in epoca moderna: i figli contro i padri, con scarsissime possibilità di contatto (…) da allora non ci sono state più fratture, come se da allora ci fosse stata un’unica interminabile generazione ancora attiva.”
Come dice la super groupie Pam Des Barres nel suo libro “Let’s spend the night together” “all’epoca non c’erano mode a cui rifarsi, eravamo noi ad inventare tutto.”
Prendiamo per esempio una di quelle che oggi giorno è considerato caratteristiche del mondo rock: l’abbigliamento. E’ vero che i giubbotti di pelle nera, gli stivaletti a punta, i pantaloni squarciati fanno parte di quelle “divise rock” inventate nei trentennio d’oro e mano a mano che si diffondevano ovviamente “diventavano di moda” ma, e qui mi voglio soffermare, all’epoca il tutto non era un qualcosa di già fatto o sentito era un continuo inventare, un creare senza sosta, nient’altro che il risultato sia estetico di una generazione figlia della guerra in cui si voleva rompere con il passato mettendo a disposizione ogni modo ed ogni mezzo.
Perciò viene spontaneo chiedersi dov’è finito questo spirito? Il rock è ancora vivo?
Innanzitutto bisogna tener conto di una cosa: il rock è un genere musicale che odia la staticità, ha attraversato nel corso della sua storia così tante sperimentazioni e rotture che portano pensare un anno di musica rock dell’epoca d’oro ne vale quasi il triplo. Il rock è un cavallo imbizzarrito, è la corsa veloce di un giovane (perché il rock è proprio questo “smell like teen spirit”). Ecco perché Castaldo si chiede se sia ancora possibile parlare di questo genere perché i giovani di oggi affollano i concerti dei giovani di ieri: Roger Waters e il suo The Wall, gli Stones che calcano le scene da cinquant’anni. Io credo che sia giusto che ogni giovane appassionato di musica conosca e si rechi almeno una volta nella vita ai concerti dei mostri sacri del rock, perché sarebbe come pretendere di parlare una lingua senza conoscerne l’alfabeto. Sono loro che hanno creato il genere, sono i maestri ed anche se vecchi ed imbolsiti (con la vita che hanno fatto ci mancherebbe ancora che saltassero come quarant’anni fa) bisogna lasciare che le nostre orecchie si delizino di suoni leggendari.
D’altro canto, e qui entro in contrasto con Castaldo, non è vero che nel panorama internazionale non ci siano valide band. Elenco giusto un paio di nomi e con questi mi riferisco ai Radiohead che spostano ad ogni loro album lo sperimentalismo sempre più avanti mostrando che non tutto è stato detto, cito i White Stripes che frullano garage rock e blues e ci fanno assaporare un po’ di suoni sporchi, dico i Muse che uniscono sprazzi di prog e canzoni intelligenti senza farci sbadigliare, insisto sui Coldplay che sono la punta di diamante delle band dai testi intensi ed emotivi, indico Ben Harper che con la sua fida chitarra intelaia armonie sempre differenti: rock-vissute, reggae- positive, intimiste-acustiche che lo fanno un guitar hero dei nostri giorni e poi finisco con una bella realtà dall’America, i Kings of Leon.
E’ normale che il genere rock possa ingolfarsi, come già successo in passato, e che si sia scritto già molto ma non per questo dobbiamo essere pessimisti.
Lunga vita al rock!
(Giorgia Furfaro)