Gli anni ’90 sono passati da un po’ e la nostalgia cresce in modo esponenziale mentre il tempo scorre attraverso questi tristi giorni del nuovo millennio. Non è una questione anagrafica, la mia relativamente giovane età lo può confermare, il fatto è che dalla fine degli anni novanta in poi è diventato davvero difficile individuare i riferimenti culturali e musicali di questi primi dieci anni del nuovo millennio. La PepiBand questo lo sa bene e allora sforna un disco come “Panic”. Un disco onesto, viscerale e che guarda indietro; forse proprio perché davanti c’è davvero poco da guardare, o forse perché il modo giusto per andare avanti è recuperare il meglio di quello che c’è stato prima e ricominciare da lì.
Questa band nasce dalle ceneri di quei meravigliosi e colpevolmente (ribadisco colpevolmente) dimenticati Twig Infection: band siracusana che nella sua, seppur breve, vita (un EP e due Album) ha tracciato un solco profondo negli ascolti di chi ha avuto modo di apprezzarli. Dopo la fine dei Twig Infection, Francesco Cantone (cantante e chitarrista) ha dato vita ai Tellaro (prodotti da 2nd Rec.), mentre Enzo Pepi (chitarra) e Marco Caruso (batteria), grazie all’apporto di Sandro Formica (basso) e di Peppe Forte (voce e chitarra) danno vita alla PepiBand. Per loro un EP strumentale qualche tempo fa, e adesso Panic. Questo primo full-lenght si apre con il loro manifesto: “Personal Pepi”, un brano urlato al punto giusto dove la sezione ritmica dimostra fin da subito di che pasta è fatta. Prende subito il controllo della situazione spezzando i tempi o lanciando in corsa le chitarre. È una costante nei brani del quartetto siracusano, quella di essere imprevedibili ritmicamente e di conservare anche nei momenti più duri una malinconica melodia di fondo. Segue “5%”: splendida, nient’altro da dire se non che è stata scelta come singolo, visto che in rete sta girando il video-clip di questo brano. Più il disco scorre e più ci si rende conto che si ha a che fare con musicisti che sanno il fatto loro: grande personalità ed un background musicale tutto proiettato a quanto di meglio gli Stati Uniti abbiano sfornato nelle sue produzioni indipendenti. Riconosciamo una quantità sterminata di band che vanno dagli Slint ai Karate, passando attraverso la Touch and Go e strizzando l’occhio a Rob Crow ed i suoi mille progetti (Pinback e Thingy su tutti): tutte frullate, ripensate e servite su un piatto d’argento. Brani come “I like fasolino” sono la dimostrazione della capacità della PepiBand di riuscire ad essere profondi oltre ogni previsione. Panic è un disco che alterna “uno sparo in faccia ad una carezza” (vedi “Helen”) e durante i loro live hanno la caratteristica di “picchiare forte” ad un volume degno della parola Rock ma avendo sempre la capacità di essere leggeri come piume, quando serve. Panic è stato registrato “live” (piccolo dettaglio tecnico che da l’idea della capacità di esecuzione di questi quattro siracusani). Da sottolineare la presenza di Cristina Chimirri e della sua splendida voce in “Bipede” e “Andrea”. L’unico appunto che si può fare è riferito al cantato: la pronuncia inglese del cantante è un po’ “masticata”; ma d’altra parte non si vede quale alternativa linguistica adottare per un disco così: l’italiano? Manco per scherzo, non avrebbe avuto senso. La voglia di anni ’90 la riconosciamo definitivamente quando a chiusura di “Eyes”, ultimo brano del disco, il contatore dei minuti va avanti inesorabile, in silenzio fino al minuto 17′ quando parte la ghost track: un brano strumentale formidabile e cupo nel quale Marco Caruso e la sua genialità ritmica, mista ai rumorismi chitarristici degli altri Pepi’s, ti dicono che non è ancora finita, che saranno loro a decidere quando dire basta e tu ascoltatore ipnotizzato non riesci a vincere perché loro ti tengono incollato allo stereo in modo magnetico. Tutto questo è Panic. Non ascoltavo un disco così da anni!
Aaaah! la ghost track: splendore degli anni che furono, genialità e voglia di mettere alla prova l’ascoltatore. Quella si che è roba d’altri tempi.
(Valerio Vittoria)