Dopo l’apparizione in compagnia di Amerigo Verardi su Il Paese è Reale, il progetto post-Sanremo degli Afterhours, Marco Ancona torna. Stavolta è accompagnato da Paolo Provenzano alla batteria e Ruggero Gallo al basso. I Fonokit si presentano così con un disco, Amore o purgatorio, dai temi abbastanza scontati, pur con delle sorprendenti evoluzioni.
L’amore, la vita, i vizi e le virtù di una generazione, il tutto condito da chitarre à la Trent Reznor, sempre precise e mai superflue. “Fine”, “Non posso farne a meno” e “No money no cash”, sono molto ispirati, e celano in loro il senso di tutto il disco: decadenza e visioni quasi mistiche, rabbia e consapevolezza, voglia di ricominciare e questo e quell’altro. Si tira il fiato con “Non esiste”, che è probabilmente il pezzo più bello di tutto l’album. Scordatevi il Salento di lu sule, lu mare, lu ientu. Questo puzza di polvere e ruggine e capannoni coi tetti d’amianto mentre fuori piove, e ti trascina dritto dritto in “Ho deciso”. Di questi tempi, affermare una cosa del genere è una bella prova di coraggio. La voce nervosa e spigolosa di Marco Ancona scivola su “Vendimi un sogno”, spalmata meravigliosamente su un tappeto di chitarre, e si imbatte su “Non è possibile”: pezzo dalle grandi potenzialità ma dal testo davvero imbarazzante. Degno dei migliori dARI, che – per inciso – non sono così pezzenti come pensiamo, dal vivo spaccano come pochi altri gruppi. “Sedia elettrica” perdona tutto. Incazzati e ipnotici, i Fonokit sfornano un pezzo che, seppur breve, vale da solo il prezzo del biglietto. Un disco fresco, fatto con passione e quella voglia di spaccare tutto e tutti che, purtroppo, sempre più spesso viene a mancare nei gruppi nati e cresciuti da Roma in giù.
(Mario Mucedola)