Surreale, spaziale, stralunato. Questi sono i tre aggettivi più indicati per descrivere il mondo dei Piet Mondrian.
Non un genere, una sonorità, un sound. No. Un mondo vero e proprio dove solo loro sono padroni impermeabili da possibili parallelismi.
Questo almeno è ciò che si percepisce già dall’ascolto di “Report 1:” una base elettronica spaziale ed alienante, enfatizzata dalla profondissima e gutturale voce di Michele Baldini. Soltanto in rari frangenti si riesce a tornare con i piedi per terra grazie agli interventi di Caterina Polidori, che alterna fuori campo e perfetta fusione con la melodia.
Ma non e un caso isolato. Delle 13 tracce che compongono Misantropicana nessuna è nè simile nè paragonabile a nessun altra, niente prospettive logiche o fili conduttori se non l’onnipresente critica amara ai tempi moderni e alla politica (o almeno ad una parte della politica italiana, in quanto dell’altra nemmeno si fa menzione). Bisogna abbandonarsi allo spaesamento, senza pensare o ragionare nel tentativo di comprendere questo mondo, e lasciarsi piacevolmente trascinare.
Per questo non ci facciamo domande se di seguito troviamo quasi una filastrocca (“Boogie Woogie”), ballad intimiste o addirittura ninna nanne, ma mai troppo sentite (“Lascia Perdere”, “Forse Questo è Amore”). La particolarità che emerge da tutto l’album è infatti un’altèra freddezza quasi totalmente priva di emozione; i momenti di maggiore enfasi vengono come mai prima lasciati completamente alla musica, che si ritrova unica responsabile di tutto il pathos e dell’espressività dei brani. Tra tutte le canzoni la perla è indubbiamente la titletrack: una potenziale hit dal ritmo in crescendo coinvolgente come poche, orecchiabile ma imprevedibile in ogni sua evoluzione. Inaspettatamente però, dopo lo “sballottamento” delle varie ed assolutamente eterogenee tracce precedenti, ecco che il pezzo in chiusura si presenta come un atterraggio morbido e rassicurante.
“Dogma” infatti è probabilmente la più “normale” tra tutte le canzoni dell’album; delicati arpeggi acustici incorniciati da un sottofondo di archi la rendono un perfetto epilogo al marasma sperimentale che l’ha preceduta.
Ciò che prevale per tutto l’ascolto di Misantropicana è un perenne stato di tensione, l’ascolto di ogni brano sempre con la coda dell’occhio attenta a percepire quale possibile direzione possa prendere quello successivo. In fondo, con la banalità che ci circonda di questi tempi, è bello scoprirsi impazienti nell’attesa del pezzo che verrà. E come questo album conferma, è ancora più bello accorgersi che nessuna delle tracce è come te la saresti aspettata.
(Roberta Confente)