Facile ravvisare una persistente matrice dark in questo album, anzi, il nome del gruppo in questione, Il Nero Ti Dona, dovrebbe già far accendere nell’ascoltatore che si appresta a gustare l’opera delle sirene in tal senso. Non risulta neanche troppo complicato ed evanescente rintracciare gli “ascendenti” che sono insiti nel complessivo impasto dark wave : Marlene Kuntz e Verdena in primis, improponibile, invece, in questo caso, il riferimento ai Joy Division, anche se di certo senza il loro contributo difficilmente potremmo sentire (ed apprezzare) oggi gruppi ed album simili. La band esordisce col nome di A Season In Hell, adottando testi in inglese e lasciando già presagire una ricerca sempre più convinta e raffinata verso gli scenari dark wave che si rafforzano e maturano con la piccola successiva “rivoluzione”: cambia il nome e si preferiscono i testi in italiano piuttosto a quelli inglese, sicuramente per un’espressività maggiore e meno scontata.
La band napoletana, Mario Barbarulo (chitarra e Synth), Maurizio Triunfo (voce e chitarra), Fabrizio Cirillo (batteria) e Francesca Del Gaudio (basso), con questo album, Studiando il modello terrestre, si propone di analizzare forse l’enigma per eccellenza, quello, appunto, del “modello terrestre”, o meglio, dovremmo chiamarlo “modello umano”, in quanto le 11 tracce che scandiscono il disco sembrano puntare i propri fari indagatori verso scenari intimi e viscerali, quelli propri dell’animo umano e, più in generale, della società, con tutti i numerosi e “devastanti” problemi che ne conseguono.
L’ apertura del disco è affidata ad “Aprile” che svolge il suo compito di “opening” magistralmente: atmosfere rarefatte che partono in sordina per sbocciare poi in un sound completo ed appagante che invita e spinge con avidità l’ascoltatore ad addentrarsi nel cuore dell’album. “L’impero” fin dai primi secondi si caratterizza per il suono convulso e nervoso, dove a farla da padrone sono le chitarre graffianti e il suono potente e nevrotico della batteria. La voce di Maurizio Triunfo si innesta perfettamente in questa atmosfera, apparentemente caotica, capace di coniugare emotività e potenza. Alcune tracce si lasciano ascoltare senza troppi problemi e in maniera più “rilassata”, pur non calando, tanto nel sound complessivo, quanto nei testi, ed è il caso di “Giù in cortile”, ad esempio. Particolarmente suggestive risultano le tracce in cui si percepisce un’influenza marcata derivante dagli scenari post-rock: prime fra tutte “Il buio” e “Disordine” che ricordano, neanche troppo lontanamente, gruppi come Mogwai e God Is An Astronaut e chiaramente ciò è vero soprattutto per i suoni più distesi e meno “scattanti”. Elemento che caratterizza il disco (piacevolmente) è il susseguirsi di tracce più vibranti e potenti (“Pornoteca”) a tracce segnate da atmosfere più languide e rilassate (“Lembi di pelle”), e il meccanismo funziona: non si hanno dei passaggi troppo forzati, incoerenti con la direzione verso cui punta il lavoro, ma ogni pezzo è incastonato perfettamente nella struttura complessiva, senza quel singolo elemento il disco invece di fluire potrebbe ansimare e non risolversi compiutamente. “I tuoi pianeti” chiude l’album: scelta azzeccata in pieno in quanto la traccia condensa in sé tutte le atmosfere e le caratteristiche del lavoro: si alternano suoni dolci a più potenti, il cantato si plasma perfettamente sulla musica e non è mai eccessivo o fuori posto.
Probabilmente la ricerca indirizzata verso il decifrare l’enigma del “Modello terrestre” avrà portato il gruppo partenopeo a modesti risultati, ma non per quanto riguarda la musica, adesso si, veramente matura. Tracce e testi mai banali, architetture melodiche e ritmiche ben congeniate, sia nei momenti più “epici” che in quelli più rilassati, sono i segreti di un disco che punta direttamente, senza mezzi termini, a colpire l’emozione e l’animo di chi lo ascolta.
(Antonello Calcagni)