Sul finire degli anni’90 nel panorama underground italiano ci fu un’esplosione elettro-pop che aveva come polo principale Monza e dintorni. Qui l’effetto-Bluvertigo, assurti a vero e proprio fenomeno di massa con l’album Metallo Non Metallo (e, in particolare, grazie ai singoli e ai videoclip di “Fuori dal Tempo” e “Altre Forme Di Vita” mandati in heavy rotation su radio e tv), fece spuntare come funghi (allucinogeni o porcini, a seconda dei casi) tutta una serie di band più o meno talentuose, più o meno riscopritori di sonorità eighties e con carriere più o meno fortunate. I riferimenti erano simili per tutti: la new wave e il synth pop inglese (Depeche Mode, Bowie, Pet Shop Boys e compagnia bella), ma anche molti artisti italiani (Battiato su tutti, poi Matia Bazar, Garbo, il primo Ruggeri, eccetera). Tra questi gruppi, uno dei più interessanti fu sicuramente La Sintesi, divenuti celebri al Festival di Sanremo 2002 con la psico-cannibalesca “Ho mangiato la mia ragazza” (sapientemente catchy), ma scioltisi dopo soli due album.
Lele Battista, il leader della band, in seguito a varie collaborazioni e partecipazioni, nel 2006 pubblica il suo primo album solista Ombre. Dopo aver curato la produzione artistica di alcuni giovani artisti (Yuri Beretta, Ariadineve e Controluce) e aver scritto la colonna sonora del film “Lo Stallo” di Silvia Ferreri, il cantautore milanese è tornato con un nuovo album: Nuove esperienze sul vuoto. Un titolo che pare decisamente opposto al contenuto: questo è un disco pieno, molto pieno, da ogni punto di vista. Nell’epoca dell’usa e getta radiofonico, si rimane decisamente spiazzati davanti ad un lavoro così profondo e pregno. Testi di grande spessore, che necessitano di diversi ascolti per essere compresi appieno, spaziando dall’amore intimo e adulto (“Il Nido”, curiosamente singolo d’esordio, segno evidente del disinteresse dell’artista per le logiche di mercato) a riflessioni interiori che coniugano poesia e intelletto, con un equilibrio fra i due elementi che denota una grande maturità artistica (“Eppure questo sguardo illuso e forse a tratti inconcludente mi sembra l’unico possibile/Eppure questo sguardo illuso e nello stesso tempo assente è l’unico che salverei”, canta nella bellissima “Il mio punto debole”). Questo sdoppiamento dell’ anima, quella più intellettuale (“Nutrire la mente”, “L’arte di annoiarsi”, “L’arte di essere felici”) e quella più lirica (la già citata “Il Nido”, “Le cose più grandi di me”, “Le mani”), si rispecchia anche negli arrangiamenti, che coniugano la raffinatezza del cantautorato (viene immediatamente in mente Samuele Bersani, anche per un forte somiglianza timbrica), con divagazioni a tratti sintetiche (“Sull’inesprimibile”), a tratti distorte (“Blocco del traffico”), passando per il post-rock della bellissima “Profondamente dentro” (per stessa ammissione dell’autore, fortemente influenzata dal sound bianco e dilatato dei Sigur Ròs) o la sensualità oscura della conclusiva “Attento”, che vede la partecipazione della splendida voce di Mauro Ermanno Giovanardi e ricorda il Morgan più sperimentale o gli stessi La Crus.
Prodotto e suonato ottimamente (vanta la collaborazione di Giorgio Mastrocola e Megahertz fra gli altri), Nuove esperienze sul vuoto è un disco importante che, in quanto tale, necessita anche di un ascolto importante, attento, di quelli che si riservano ai grandi autori, per poter assaporare ogni singolo frammento di questo enorme specchio nel quale Lele Battista ha deciso di riflettersi, di riflettere e di farci riflettere. Il mio consiglio è: sedetevi in silenzio davanti a questo specchio e lasciate che vi mostri tutti i colori di cui è fatto, poi sceglierete se strafarvi di luce del sole o, qualora piovesse, se campionare i tuoni.
(Federico Anelli)