Dopo aver ascoltato il nuovo lavoro dei pratesi Baby Blue viene spontaneo “non sapere” e perdere qualsiasi tipo di conoscenza o filo logico con la realtà musicale italiana. Già, perché WE DON’T KNOW non dà riferimenti. Spiazza e mentre ci si perde nel gusto esterofilo di trovare un qualsivoglia artista oltralpe a cui associarli, ci si rende conto che i Baby Blue assomigliano solo ai Baby Blue! Uno stile unico che già li aveva caratterizzati all’esordio con COME! (2009) impreziosito da quel meraviglioso tormentone, ripreso dal film culto “Daunbailò” di Jim Jarmusch (1986), in cui un giovane Benigni carcerato, insieme a Tom Waits, intona “I SCREAM – YOU SCREAM – WE ALL SCREAM –FOR ICE SCREAM”.
We Don’t Know è un contenitore d’isteria, dialoghi e scambi melodici tra voci, chiaroscuri di chitarre ora limpide ora sporche e una base ritmica che appare e scompare. L’attitudine musicale è quella dei Primus (in versione noise-punk) accompagnati dalla voce di Karen O degli Yeah Yeah Yeahs o della PJ Harvey di Rid of Me.
“Don’t Ask Me Why” è l’incipit che ben presenta ciò che accadrà nei successivi 33 minuti. La voce di Serena Altavilla pone subito il marchio di fabbrica e spinge il resto della band su quello che pian piano si trasforma in un’altalena sonora. I brani in sequenza “Oh Marie” e “Shut Up” rinforzano l’ordinaria-BB-follia che viene subito ridimensionata dalla ninna nanna “I Don’t Know” in cui si intromette a svegliare tutti la voce volutamente lamentosa di Mirko Maddaleno, con il suo timbro vocale di un “acido” Lou Reed, che benissimo si sposa con il contesto. Nel sali-scendi di We Don’t Know ci si imbatte nel punk-garage di “Earthquake” (pezzo di spicco dell’album) e in qualche altro momento di quiete-calma-quiete che termina nel mescalinico “Porto Palo”.
Un album genuino seppur di non facile approccio, soprattutto se non si ha il riferimento del primo lavoro (COME!) che può solo agevolare l’ascoltatore a comprendere l’evoluzione/direzione della band. Un po’ più introverso. I limiti, pochi, dell’album potrebbero essere rappresentati da qualche momento di quiete di troppo che rischia di far cadere la tensione di ascolto. Ma è un limite trascurabile per un amante di un punk-garage raffinato e riflessivo e assolutamente inesistente per un amante dei Baby Blue.
(Marco Antoci D’Agostino )
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