Certe volte è bello provare ad “anticipare” un disco, cercare di immaginare quello che ti aspetta e lasciarsi portare dal nome del gruppo o dalla copertina dell’album. Quando poi alcune cose confermano le tue prime impressioni, non puoi evitare di compiacerti, oltre a pensare che la band in questione si presenta in modo coerente e omogeneo. Questo Another Sunday On Saturn dei Piano For Airport sfoggia una copertina che fa tanto Sigur Ros e la band stessa ha un nome che inevitabilmente riporta alla mente Brian Eno. Per questo mi sono addentrato in questo disco aspettandomi un viaggio tra atmosfere rarefatte, crepuscolari, oniriche, lontane…e così in buona parte è stato.
Questa band romana si dondola tra rock ed elettronica, tra indie e pop, ha un sound semplice ma profondamente ammaliante e sfoggia sonorità che scavalcano prepotentemente i confini dello stivale per dimostrare, ancora una volta che la nostra penisola può vantare grandi realtà anche se, ahimè, la cosa è ristretta quasi esclusivamente alla scena indipendente. Una breve intro futuristica introduce il giro sinuoso di basso di “Overturn The Lap”, la sua melodia figlia di un Layne Staley (eppure lo sento…) che è in trip per la musica da club, un ritornello ossessivo ed un break costruito su bellissimi arpeggi di chitarre. I ritmi si alzano con la successiva “Monkey Theorem”, il cui refrain fortunatamente ripara ai danni fatti da un bridge inspiegabilmente brutto; “Y-el” è elettronica moderna, quattro minuti di synth che fungono da trampolino alla splendida “Ghosts And Pillow”, fulcro di tutto il sound dei nostri dove tutto quadra alla perfezione, nulla è fuori posto, i suoni splendidi che sorreggono una linea vocale meravigliosa; qui i Piano volano coi grandi, sfiorano i lidi toccati dai meravigliosi R.E.M. di Up con la naturalezza dei fuoriclasse. Da qui in poi la componente elettronica diventa protagonista della scena, concedendo infatti la ribalta solo alle tinte post-rock di “20 Years Old Killer Revolver” (bellissima) e all’indie di “S.O.S. (sink or swim)“ pezzo dal groove moderno con un potenziale pop spaventoso, prima di arrivare ai titoli di coda con “This Air”. Ora che il viaggio è finito mi rendo conto che serve un passo indietro, fino a ritornare a Ghosts And Pillows. È il crocevia del disco, oltre ad esserne indubbiamente il picco incontrastato, ma non solo; è uno dei brani più belli che abbia mai sentito in tutta la scena indipendente italiana, uno di quei pezzi sui quali costruire il futuro, ma anche una pericolosa arma a doppio taglio, nel caso la sua abbagliante bellezza rimanga un caso isolato. Questo gruppo è fantastico, ha stile e classe, è una piccola perla, ma a volte ho quasi l’impressione che sia una di quelle band “pigre”, che potrebbe sfornare una sequenza impressionante di piccole hit alternative se solo lo volesse, ma non lo fa ancora, perché deve ammirare il paesaggio circostante anche a costo di rallentare l’andatura. Infatti ora che l’eco del disco è un po’ più lontana, mi rendo conto che una buona metà della sua durata è costituita da brani strumentali, che però sembrano quasi delle intro, anziché dei veri e propri pezzi che completano il tutto; questa è l’unica cosa che secondo me va a spezzare il filo conduttore del disco riducendone un po’ il potenziale, comunque enorme ed in parte ancora inespresso. Anche se sono sicuro sarà solo questione di (poco) tempo, chi ha saputo scrivere una Ghosts And Pillows difficilmente deluderà!!!!
(Andrea Gnani)
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