Wilderness Heart è il terzo full lenght dei canadesi Black Mountain, gruppo che col loro esordio nel 2005 attirò l’attenzione della critica, ricevendo molti pareri favorevoli. Il loro sound, caratterizzato da un hard rock di stampo seventies con inserti heavy e psichedelici, subì una prima modificazione nel secondo album In Future, pubblicato nel 2008: alla classica ossatura hard rock si affiancò da un lato una maggiore attenzione versi pezzi di stampo folk, dall’altro un’incursione in territori progressive che, però, non convinse.
Wilderness Heart è un album diviso praticamente in due: ci sono brani esclusivamente di stampo hard rock sempre in bilico tra i Black Sabbath ed i Deep Purple; troviamo poi brani folk psichedelici, che hanno come punti fermi i Jefferson Airplane ed i Led Zeppelin.
Le parti vocali sono più presenti rispetto agli album precedenti: le voci di Amber Webber e Stephen McBean quasi duettano in “The Hair Song”, un southern rock a là Black Crowes, ma spesso cantano all’unisono come in “Radiant Hearts” o “Buried By The Blues”. Purtroppo il cantato non è mai realmente incisivo, la voce di Amber Webber spesso è fuori luogo e McBean non riesce a dare nè potenza nè calore alla voce. L’esempio lampante è “Let Spirits Ride”, brano che ricorda molto da vicino Paranoid dei Black Sabbath se avessero avuto John Lord alle tastiere, con l’imperdonabile difetto di durare più di quattro minuti: sicuramente il brano peggiore dell’album.
L’album, comunque, scorre leggero, a tratti risulta anche piacevole, ma senza alcun picco creativo: ci si aspettava il salto di qualità con questo album, invece sembra che i Black Mountain abbiano fatto due passi indietro rispetto al già poco convincente In Future. Certamente l’ottima produzione fa risaltare l’impasto di brani sempre ben suonati, ma questo non basta. I pezzi hard rock si riducono ad un mix, a volte discutibile, tra i Deep Purple di In Rock ed i Black Sabbath di Sabbath Bloody Sabbath, senza però quella leggerezza compositiva a tratti psichedelica che aveva caratterizzato il primo album. “Old Fangs”, “Rollercoaster”, “Wilderness Heart”, sono tutti pezzi che si lasciano ascoltare più o meno piacevolmente, ma nulla più.
La parte folk del disco invece è la riproposizione di un folk a tinte psichedeliche che non convince più di tanto: manca quella venatura free della quale si era sentito l’odore nel precedente In Future. Purtroppo i Black Mountain hanno deciso di rifugiarsi nel ben più comodo folk di stampo sixties, tenendo presente la lezione, come già detto, da un lato dei Jefferson Airplane e dall’altro delle ballate dei Led Zeppelin. Si passa così da “Radiant Hearts” a “The Space In Your Mind” a “The Way To Go”, brani dalla matrice psichedelica, a ballate blues come “Buried By The Blues” e la conclusiva “Sadie”, un blues dalle tinte fosche che ricorda molto da lontano Tom Waits e Nick Cave.
Wilderness Heart doveva essere l’album della maturazione definitiva dei Black Mountain, invece delude sotto l’aspetto compositivo: persa ormai la freschezza del primo album, il terzo lavoro della band canadese scorre via senza lasciare alcuna sensazione, se non quella di assistere alla buona prova, anche se a volte priva di gusto, di una revival band.
(Nicola Palo)