Con un nome così, immagina cosa ci sarà dentro. A voi scegliere se si tratti di celia o di sincera ammirazione. Fatto sta che i Deluded By Lesbian, dopo due EP consegnano all’eternità il loro primo lavoro a lungo termine: The revolution of species. Apre il disco, in maniera solenne, un rullo di tamburi, che porta dritti a “She do wanna”, punk grezzo, fatto di Big Muff – o qualcosa del genere – powerchord e linee vocali che riportano un po’ai Foo Fighters, ma con una voce decisamente più melodica.
“Ringo Starr” fila via inosservata, per portare a “Don’t laugh for me Argentina”, sicuramente un pezzo molto più divertente sotto ogni punto di vista. Suonato bene, con un’ottima idea (cinica) di fondo, e con l’esplosione di risate, che uno se le aspetta ma quando arrivano ci resta stranito. “Nobody knows” sa di festa. Party in piscina, ovviamente non in casa tua, ché è sempre più difficile avercene una. Cocktail e sfasciume vario. “C’mon get in” è uno dei pezzi più ispirati e meglio riusciti del disco, con delle chitarre cattive e circolari e una voce che riporta ai vecchi fasti degli anni più sporchi e stoner come “Crystal Balls”, un pezzo che fa del refrain il suo punto forte. Arrivati quasi alla fine, quando ormai non lo si spera più, si tira un po’il fiato con “Love is Blind”, un mid-tempo che, almeno secondo me, ci sarebbe stato bene anche all’inizio, come terza o quarta traccia. Come a dare il senso che si sappia lavorare. Perché è pur sempre un mid-tempo, ma è pur sempre un pezzo fantastico. Da qui in poi, il disco perde tonicità, si ripiega su se stesso, e sui soliti schemi, e nemmeno “United States of Delusion”, che con i Muse ha in comune solo un paio di citazioni nel titolo, riesce nell’intento di dare il colpo finale ad un disco che ha detto già tantissimo in corso d’opera. Concludendo, è indubbio il fatto che i ragazzi debbano crescere ancora, ma se queste sono le premesse, faranno taaanta strada, in discesa.
(Mario Mucedola)
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